Zaleuco e l’eredità della legalità: un esempio per il presente
La Repubblica dei locresi di Epizefiri
Di Giuseppe Pellegrino
Voleva dire tante cose, prima di andarsene, ma dalla bocca ora usciva ora un rantolo ora sangue. Facce stravolte, che trattenevano il pianto, guardavano un uomo che moriva per rispettare se stesso. Ma a Locri i morti non si piangevano. Ora, Zaleuco teneva l’impugnatura della spada con le mani, come se volesse spingerla più dentro o volesse tirarla fuori. Il corpo si inarcava con spasmi improvvisi e involontari e il rigurgito di sangue lo soffocava. Finalmente, il corpo si distese con lo sguardo verso il cielo; l’unico occhio chiuse la palpebra per il fastidio della luce. Solo la bocca non cessava di sputare sangue. Ma non vi era più dolore e sofferenza. Anche un tempo infinitamente lungo finisce.
I locresi seguirono l’agonia del Magistrato con rispettoso silenzio, ma senza fare nulla per impedire il gesto o limitare l’agonia. Fecero solo corona per accompagnare Zaleuco nel suo ultimo viaggio. Nessuno di loro pensò che il Pastore sarebbe andato a miglior vita nell’Ade, ma ciascuno era convinto che Locri aveva perduto per sempre il suo Legislatore.
Così morì Zaleuco. Si dice. Così, invero, morì anche Caronda. Si dice.
Al tempo di Zaleuco, l’elemento psicologico non rilevava. La semplice infrazione della legge integrava il reato. Il primo che introdusse una variante fu Dracone, discepolo di Zaleuco, che disciplinò l’ipotesi di omicidio preterintenzionale. La ragione non è stata nella volontà di prevedere l’introoduzione di dolo o colpa, ma in una ragione pratica. Nei giochi ludici, il lottatore o il pugile che incontrava il suo avversario, spesso nell’agone era fermato dalla paura di uccidere l’avversario. Si pensi che nel pugilato i pugni dei pugili erano rivestiti di strisce di cuoio con borchie di bronzo o di ferro. La possibilità di uccidere l’avversario non era aleatoria. L’uccisione costituiva omicidi e punito con la pena capitale. In queste occasioni, la norma draconiana stabiliva che la morte del pugile o del lottatore andava oltre la intenzione dell’agente e perciò era preterintenzionale. La sanzione era l’esilio, cosa certamente non lieve, ma si escludeva il laccio, la pena di morte. In caso di guerra era possibile che una lancia mal mirata potesse colpire un commilitone. Oggi si dice fuoco amico e Dracone escluse la punibilità. Anche in caso di assalto di brigante per strada, la sua uccisione era un fatto di legittima difesa. Ma Dracone si distinse per un’altra forma di omicidio: l’omicidio legittimo. Legittimo non per legittima difesa. Colui che coglieva la moglie o la sorella, la madre in fraganza di adulterio poteva uccidere, se marito, fratello o padre, l’amante, senza dover rispondere. Fu un passo indietro.
Dalle leggi greche è nata la civiltà giuridica odierna. Dalle leggi greche, e in particolare da quelle locresi. Anche se Roma fu la patria del diritto, essa deve ai greci e a Locri la spinta di base. Si pensi alle leggi delle XII tavole (sulle quali forse si tornerà per una piccola disamina) che tanto debbono al diritto greco e, come dice Livio, a quello locrese e zaleuchiano in particolare.
Il presente lavoro per ricordare a ognuno di noi che la nostra terra non è stata e non è solo ‘ndrangheta. L’importante è ricordarlo a sé stessi e agli altri, sottolineando che occorre tornare al rispetto delle legalità per come inteso a Locri. Della legalità ma anche delle regole che aiutano a vivere in comunità. Tante sono le responsabilità di ogni cittadino; di chi governa ed è incapace di capire; degli intellettuali che trascurano il loro passato e non si accorgono di non avere neppure un presente, né per loro né per i loro figli. Diceva Albert Einstein che due cose sono infinite: l’Universo e la stupidità umana; della prima si ha una intuizione, della seconda solo certezze.
Non è vanità concludere che i locresi di Epizefiri erano Fiore d’Italia. E con il termine locresi indichiamo tutti noi.