La rilevanza penale del furto e il concetto di profitto: un’analisi giuridica
La tutela penale dei beni culturali
Di Francesco Donato Iacopino, Emanuele Procopio, Giovanni Passalacqua ed Enzo Nobile
La rilevanza penale della condotta è da individuarsi nell’offesa o nella compromissione del patrimonio del soggetto passivo (cosiddetto reato monoffensivo).
Quindi il delitto in questione si realizza in presenza della sottrazione e del conseguente impossessamento che, a parte un minoritario orientamento dottrinale e giurisprudenziale, non sono coincidenti poiché costituiscono due momenti logicamente distinti.
Infatti, la sottrazione consiste nella privazione materiale della cosa, mentre l’impossessamento rappresenta l’acquisizione della piena e autonoma disponibilità materiale della cosa sottratta che costituisce la condotta finale dell’azione.
Il requisito dell’impossessamento assume particolare rilevanza ai fini della consumazione del reato, posto che questa può dirsi avvenuta solo quando l’agente ha acquistato la disponibilità della cosa e non al momento della semplice sottrazione in quanto, prima che avvenga l’impossessamento della cosa, è configurabile solo la figura del tentativo.
L’elemento psicologico del reato è da individuarsi nel dolo specifico, posto che l’elemento volitivo dell’agente è il profitto.
La questione relativa al concetto di profitto è molto dibattuta e al riguardo si sono registrati due diversi orientamenti.
Alcuni sostengono che in tema di furto, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, va interpretato in senso restrittivo, e cioè come finalità di ricavare dalla cosa sottratta un’utilità apprezzabile in termini economico–patrimoniale.
Altri, invece, sostengono che, in tema di furto, il profitto può consistere in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale; non è, perciò, necessaria la volontà di trarre un’utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere quindi ad altre finalità di vantaggio per l’agente.
A sommesso credere di chi scrive è più aderente alla volontà del legislatore l’orientamento tradizionale secondo cui il fine di trarre profitto dal bene culturale cosa mobile altrui o dai beni culturali appartenenti allo Stato allocati nel sottosuolo o nei fondali marini si identifica nell’intenzione di ricavare detti beni una qualsiasi utilità anche di natura meramente personale e non economica, non essendo quindi necessaria che tale volontà sia finalizzata a un vantaggio di natura esclusivamente patrimoniale, ma è sufficiente la volontà di realizzare un bisogno umano anche solo meramente spirituale.
La nuova norma prevede due tipi di aggravanti a efficacia speciale che comportano l’applicazione di una pena diversa da quella prevista per il reato base al verificarsi di alcune circostanze di fatto: a) le circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 del Codice Penale; b) la circostanza in cui il furto di beni culturali appartenenti allo Stato, in quanto rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini, è commesso da chi abbia ottenuto la concessione di ricerca prevista dalla legge.
Le suddette aggravanti sono state previste dal legislatore sul presupposto che il fatto reato può essere realizzato con diverse modalità, al fine di rendere proporzionale la pena in base alla maggiore gravità della condotta delittuosa posta in essere per realizzare il reato contemplato dalla fattispecie delittuosa in esame e per fornire maggiore tutela a un determinato bene a cui la legge attribuisce particolare importanza.
E, in realtà, quando ricorrono le suddette circostanze, la pena prevista è maggiore, ovvero è della reclusione da quattro a dieci anni e della multa da 927 a 2.000 €.
Tratto da La tutela penale dei beni culturali, Key Editore