Attualità

Il naufragio dei bambini: una tragedia tra burocrazia e responsabilità eluse

Pensieri, parole, opere… e opinioni

Essere in sintonia con qualcuno al punto da scegliere di condividere la vita insieme è un’esperienza che arricchisce profondamente, non solo per il valore emotivo di una relazione stabile e armoniosa, ma anche per la forza con cui si affrontano le sfide quotidiane e per l’opportunità di esplorare nuove passioni grazie all’altro.
Nonostante il mio interesse per l’attualità, devo ammettere che senza l’influenza della mia compagna, probabilmente non mi sarei avvicinato alla trasmissione Un giorno in pretura, in onda da ormai 38 anni sulla Televisione di Stato e condotta da Roberta Petrelluzzi.
Oggi, grazie a lei, ho acquisito una maggiore comprensione delle sfaccettature della giustizia italiana e delle dinamiche che portano le persone a commettere reati. Questa passione condivisa mi ha fatto riflettere su concetti come la banalità del male di Hannah Arendt, e l’episodio trasmesso sabato scorso ne è un esempio illuminante (vi consiglio vivamente di guardarlo cliccando qui), poiché offre una lezione di vita tanto amara quanto educativa che, se non fosse per la crudezza dei contenuti, meriterebbe di essere proiettata nelle scuole.
Oggetto delle trasmissione è stato il processo scaturito da quello che è passato alla storia con la definizione di naufragio dei bambini, ovvero l’affondamento di un barcone di migranti siriani che, l’11 ottobre 2013, costò la vita a 268 persone, tra cui 60 minori. La notte precedente, nelle acque di Lampedusa si stavano ancora recuperando i corpi del più celebre naufragio del 3 ottobre, mentre un altro peschereccio partito da Zuara, in Libia, trasportava migranti verso l’Europa. Alle 12:26, la prima richiesta di soccorso fu inviata al centro di coordinamento italiano: il barcone, colpito da una raffica di mitra dalla autorità libiche, stava imbarcando acqua e a bordo c’erano dei feriti.
Le autorità italiane localizzarono l’imbarcazione, situata a circa 60 miglia da Lampedusa e il doppio da La Valletta, ma in un’area di competenza maltese. Nonostante la vicinanza della nave militare italiana Libra, il coordinamento dell’operazione, alle ore 14:35, fu lasciato dalle autorità italiane a Malta che si prese del tempo per constatare l’instabilità e il sovraffollamento del barcone prima di comprendere come agire.
Malta inviò finalmente un fax alla Guardia Costiera Italiana, chiedendo l’intervento della Libra, alla quale era stato nel frattempo dato ordine di tenersi a distanza dall’imbarcazione in difficoltà “per evitare di intralciare le operazioni di soccorso maltesi” (di fatto, per evitare che Malta, notando la nave italiana, potesse passare la palla alla Guardia Costiera) che, in virtù dei tempi di manovra e del recupero della distanza messa tra sé e i migranti, si ricominciò ad avvicinare al barcone solo dopo le 17:05, quando ormai l’imbarcazione si era rovesciata.
Arrivati sul luogo del naufragio, gli uomini della Libra non esitarono a mettere a rischio la loro stessa vita per salvare i superstiti, ma il rimpallo delle competenze aveva ormai arrecato il danno più grande, ragion per cui venne avviato un procedimento giudiziario grazie alle denunce di tre sopravvissuti che avevano perso figli e mogli, e al giornalista Fabrizio Gatti, che presentò un esposto ai magistrati di Palermo e Agrigento.
Lapalissiano sottolineare che il processo, nel quale risultavano imputati il comandante della Guardia Costiera Leopoldo Manna e il capo della squadra navale della Marina Militare Luca Licciardi, è stato caratterizzato da revisioni e rinvii che ne hanno allungato i tempi in maniera biblica e che hanno fatto sì che il procedimento giungesse a conclusione solo quest’anno, peraltro con una richiesta di assoluzione persino da parte dalla Procura.
Considerato quanto emerge dalla agghiaccianti comunicazioni tra gli imputati in quelle ore frenetiche, è tuttavia estremamente evidente che Manna e Licciardi hanno cercato in tutti i modi di non intervenire, sminuendo oltretutto la gravità della situazione, ragione per cui il tribunale li ha formalmente considerati responsabili, attribuendo loro una pena che non dovranno scontare a causa dell’intervenuta prescrizione del reato. Per i denuncianti resta la magra consolazione di poter ricevere un risarcimento per i famigliari perduti, per evitare di pagare il quale gli imputati sono adesso ricorsi in appello.
Non ho parole per descrivere come mi faccia sentire l’esito di questa tragedia né riesco a immaginare come sia possibile nascondersi dietro una burocrazia farraginosa per non compiere il gesto più naturale del mondo: tendere la mano all’altro. E mi lascia a dir poco allibito che questi individui, che molto probabilmente vantano di essere cresciuti con una formazione cattolica come fa chi ha costruito una carriera politica sul voltarsi dall’altra parte, rientrati a casa la sera possano continuare a sopportare lo sguardo del proprio riflesso nello specchio e riuscire a dormire così serenamente con i propri demoni…

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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