Costume e Società

La rivolta del 1847 a Bovalino e nella Locride

Di Antonio Ardore

Il 1847 è conosciuto in Calabria come l’anno delle rivolte a Reggio Calabria e nella Locride.
Bisogna dire che questi moti furono i primi in Italia, considerando che solo nel 1848 portarono a cambiamenti nei vari staterelli dello Stivale, come per il regno di Sardegna e Piemonte con la concessione della Statuto Albertino. Nella Locride vengono ricordati come la rivolta di Cinque martiri di Gerace, anche la vicenda non è riportata nei libri di scuola.
Alla fine di agosto 1847 un gruppo di patrioti di Santo Stefano d’Aspromonte si portarono a Reggio Calabria sollevando quel popolo per la concessione della Costituzione. In quell’occasione si trovava nel capoluogo Michele Bello di Siderno, che tornò a Bianco giorno 3 settembre con bandiere e coccarde tricolori. Qui s’incontrò con Rocco Verduci di Caraffa del Bianco e Domenico Salvadori di Bianco.
Riuscirono a formare a Bianco un gruppo di contadini e pescatori armati di bastoni e rastrelli; avvisato il governo del circondario, il sottintendente Antonio Bonafede da Gerace scese alla marina dove s’imbarcò su un piroscafo e sbarcò sul lido di Bianco per calmare gli animi. Bonafede venne preso dagli insorti, che gli legarono i polsi e lo portarono nel loro cammino per la Locride. Alla testa del gruppo c’erano i sacerdoti Giuseppe Lentini di Bovalino e Francesco Ielasi di Bianco, che portavano il crocifisso e gl’insorti ripetevano Viva Pio IX, Viva la Costituzione, Viva l’Italia.
La mattina del 4 settembre il gruppo d’insorti arrivò alla marina di Bovalino, dove s’impossessarono dei fucili del drappello di soldati cavallari della torre Scinosa, e si diressero verso Bovalino Superiore, dove venne celebrata la messa, cantato il Te Deum e benedetti i rivoltosi.
A Bovalino furono coinvolti il conte Domenico Antonio Grillo, che fuggì dai parenti a Ciminà per non essere arrestato, e Giuseppe De Maria, Francesco e Filippo Calfapetra e Gaetano Ruffo fu Ferdinando.
Proseguendo, invece che salire verso Gerace, si portarono sulla spiaggia di Roccella Jonica, dove li raggiunse Pietro Mazzone, per passare la notte e, vedendo delle luci in mare, pensando che fossero le navi borboniche giunte da Napoli, confusi e impauriti si sparsero.
Bello e Ruffo si recarono a Catanzaro, in quanto il Bello era amato dalla figlia del barone De Riso, che era riuscito ad avere un posto per Bello su di una nave per riparare a Malta, ma non volendo lasciare Ruffo fecero ritorno a Siderno, dove i militi borbonici li catturarono; nel frattempo anche Verduci, Salvadori e Mazzone vennero arrestati. Oltre ai 5 martiri erano stati arrestati anche Stefano Gemelli e Andrea Roselli di Bovalino.
Gli arrestati furono rinchiusi nel convento di San Francesco a Gerace, trasformato in carcere circondariale e, dopo un processo sommario, Gemelli e Roselli vennero graziati, mentre gli altri 5 furono condannati a morte.
Dopo la confessione col sacerdote, Ruffo volle leggere alcuni versi dello scrittore Walter Scott ed ebbe modo di vedere nella chiesa il sarcofago del Conte Nicola Ruffo di Calabria, milite della baronia di Bovalino-Bianco-Bruzzano, suo antenato.
Il 2 ottobre, al suono delle campane a morto di tutte le chiese di Gerace, i 5 giovani legati con catene furono portati nella piana di Gerace, dove i fucili borbonici li freddarono. Al frastuono della fucilazione una ragazza del paese impazzì e i corpi vennero gettati nella fossa comune detta lupa.
Si disse pure che la grazia del re di Napoli arrivò in ritardo e che in un’omelia il vescovo di Gerace, monsignor Luigi Maria Perrone, si complimentò col governo borbonico della cittadina per la situazione risolta. Tanto che venne mal visto dai fedeli della diocesi e il re Napoli Ferdinando II gli concesse una medaglia commemorativa; il sovrano di Napoli solo nel 1848 concesse la Costituzione.
C’è da ricordare che Giovanni Ruffo aveva cercato di recuperare il corpo del suo antenato e riportarlo nella cappella di Bovalino. Ma non ci riuscì.
Per ricordare il luttuoso evento a Bovalino Marina è intitolata la strada via 4 settembre, che costeggia il muro della linea ferrata e i palazzi costruiti nel corso Umberto I. Mentre una lastra in bronzo raffigurante la fucilazione dei 5 giovani posta alla base del monumento all’Italia nella villa comunale è stata spostata nell’aula consigliare.

Redazione

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