“Nomina si nescis, et perit cognitio rerum”
Le riflessioni del centro studi
Di Sandro Furfaro – Avvocato del Foro di Locri
Ricorda Natalino Irti in un recente scritto sui fatti e i casi che il Linneo, autore della massima che titola la presente riflessione, insegnò agli uomini “come impossesarsi della natura vegetale mediante i nomi tipizzati e classificatori”: conoscere i nomi è conoscere le cose, aggiunge, perché “ignoti o obliati che siano i nomi, le cose refluiscono nel buio informe”.
È vero, infatti che, come per qualsiasi uomo, la realtà che si offre al giurista altro non è che “l’immensa distesa dei fatti” e “tutti sono travolti nella tempesta del divenire; nessuno è prevedibile. Ciascuno è chiuso in sé stesso; e, ancora spoglio di relazioni logiche, è il puro e semplice questo, che si indica, come predicava la dottrina stoica, con il dito, e non ha altra determinazione che d’essere hic et nunc”.
Il diritto giudica quel fatto, gli attribuisce un nome, lo classifica, lo sistema, ne trae un modello, lo considera nel suo ambito attraverso la fattispecie (facti species: “apparenza di fatto”, insegna il lessico, “fatto immaginato per servire come paradigma rispetto a fatti analoghi”), dalla quale discende la fissazione del fatto secondo tipicità: la tipicità del fatto cui attingere e fare riferimento laddove si verifichino accadimenti dello stesso genere. Conseguenza di tutto ciò è, riprendendo ancora l’Illustre Autore, che “la quaestio iuris è sempre, e non può non essere, quaestio nominis, perché il nome attrae il fatto e lo definisce nel rango della sua giuridicità”.
La definizione, quindi, è il primo, fondamentale, momento di attenzione da parte dell’interprete; essa condiziona l’approccio a quel concreto che, appunto, definisce, ponendosi come veicolo di conoscenza di quel complesso di elementi che caratterizzano il fatto o il fenomeno che individua, sì che può dirsi che un fatto esiste nel mondo del diritto dalla sua definizione.
L’esistenza di una norma che riconnette alla produzione del fatto che riproduce un effetto, determina che la distinzione tra fatto ed effetto, già ovviamente rilevante, risulta ancor più rilevante laddove si consideri che fatto ed evento appaiono comunque inscindibili: “posto un dato fatto previsto dalla norma, si determina un dato effetto giuridico”; “l’effetto altro non è … se non il risvolto dinamico del fatto e fatto altro non è se non un accadimento temporale che, certamente idoneo a modificare la realtà materiale, può essere o non essere giuridicamente rilevante a seconda della concreta previsione che ne abbia fatto il legislatore”.
Il richiamo all’esistenza di una norma impone di considerarne la struttura, cosicché il concetto di fattispecie risulta consequenziale. Se. infatti, la previsione di un effetto tipico segna la nozione di fatto giuridico, la fattispecie consta di un fatto (o di più fatti, autonomi ma unitariamente considerati dalla norma) cui è riconnessa la produzione di un determinato effetto giuridico: tipicità, al dunque, altro non è che conformità a fattispecie, sicché la fattispecie concreta è la corrispondenza di un fatto a quello (tipico) prefigurato da una norma.
Il diritto, attraverso la sussunzione del fatto in una fattispecie, eleva, per così dire, il fatto a caso: “Casus definietur factum in ordine ad ius”, insegnò Gottfried Wilhelm von Leibniz ricordato da Irti. Conseguentemente, non tutti i fatti sono casi ma tutti i casi sono fatti definiti “in ordine ad ius”; fatti che non sono più (solo) “della realtà”, ma “della legge”.
Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023
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