Costume e SocietàLetteratura

L’holodomor fu genocidio o sterminio di massa?

Le riflessioni del centro studi

Di Sandro Furfaro – Avvocato del Foro di Locri

Si sa: qualsiasi riflessione nasce da un’occasione. E le presenti riflessioni sull’importanza del nomen che si deve a ogni fenomeno di cui esso sottende la qualità e, in ricaduta, sull’esigenza della corettezza delle definizioni come veicolo di acquisizione di quelle certezze che il diritto considera, nascono dal recente riconoscimento da parte del Parlamento italiano dell’holodomor come genocidio.
L’esempio è calzante perché dimostra come, molto spesso, l’interesse (lato sensu) particolare inquina il lessico e la nomenclatura giuridica e, in ricaduta, la definizione dell’accadimento come considerato dal diritto. Il sovrapporsi di diverse definizioni provenienti dalle più disparate fonti e dai diversi lessici svilisce, insomma, l’ubi consistam del fatto giuridicamente rilevante che il nmen iuris esprime e che lo pone alla base di quel suum cuique tribuere che la saggezza romana considerava fondamento, tanto della giustizia quanto del diritto.
L’esempio, dunque. Secondo la definizione adottata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite già nel 1946, “per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: (a) uccisione di membri del gruppo;(b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;(c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;(d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo;(e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro”.
Ognuno vede come il fulcro fondamentale del fatto (e del conseguente concetto giuridico) di genocidio sta nella commissione delle azioni suddette “con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale”. L’intenzione e la finalità cui è diretta, in questo come in altri casi, definiscono e individuano il fatto e così specificano che la considerazione di esso entro l’ambito del diritto è contraddistinta, non dalla perpetrazione di esecuzioni di massa, di stermini, di sistematica commissione di sequestri di persona, deportazioni o tratta di esseri umani, ma (appunto) dalla peculiarità del fine cui tali azioni sono commesse, ovverosia dalla volontà di distruggere un gruppo come tale a cagione della sua nazionalità, della sua etnia, della sua razza o del suo credo religioso.
D’altra parte, genocidio deriva dal termine greco che (traducibile come genere, parentela, stirpe, ma anche come nascita, provenienza, generazione, schiatta, gente ascritta) è elettivo nell’individuare l’identità che unifica un gruppo, riconoscibile (e riconosciuto) come tale dal legame di sangue, di tradizione o di fede religiosa che accomuna i membri che lo compongono.
Ciò vero, pare evidente che l’holodomor non fu un genocidio. E se la ragion politica (naturalmente orientata e condizionata dalle vicende che vedono attualmente contrapposti russi e ucraini in una guerra che mai nessuno ha dichiarato) lo definisce tale, ciò non toglie che, senza nulla togliere a quella tremenda esperienza, l’holomodor non fu un genocidio. Esso, infatti, nella casistica propria che connota ogni tragedia della storia, fu, purtroppo, uno dei tanti stermini di massa attuati per fame cagionati nel corso degli anni ‘20 e ‘30 del Secolo scorso dalla fallimentare politica economica bolscevica volta a privare delle risorse necessarie (i semi) quei piccoli proprietari terrieri che, non soltanto in Ucraina, ma in Cecenia, Azerbajan, Kazakistan, Moldavia e, negli Anni 1921/1922, nella stessa Russia, furono ritenuti responsabili di avere prodotto poco o conferito allo Stato soltanto una parte, ritenuta insufficiente, della produttività stimata delle loro terre.
È chiaro che non si stia dicendo niente di nuovo e per averne conto è sufficiente leggere quanto sostenuto in tempi non sospetti da uno scrittore che per anni patì sulla sua pelle la repressione sovietica, Aleksandr Solzenicyn. L’Autore, considerando le grandi carestie, conseguite alla “spietata rapina dei semi di grano”, che colpirono l’universo sovietico in ogni sua parte, ha escluso la stessa sostenibilità teorica che simile pratica dissimulasse il pianificato sterminio degli ucraini. Anche perché (e questo dovrebbe essere ben considerato da chi invece individua in quello sterminio mire di distruzione etnica o comunque dell’integrità nazionale “come tale”) la predazione dei semi di grano fu una scelta condivisa in seno al Comitato centrale del regime sovietico, composto, in misura rilevante, anche da politici ucraini.
Indubbio, dunque, che sia stato uno sterminio di massa, come mai l’holomodor oggi è considerato un genocidio? Perché si avalla una definizione giuridicamente impropria, privilegiando l’uso del lemma secondo un lessico che, contra natura rerum, sembra autorizzare l’interprete a ritenere che ogni definizione giuridica è una finzione e che davvero con un semplice tratto di penna (l’esternazione fuori schema di un giudizio) si possa facere de albo nigrum?

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023

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