Costume e SocietàLetteratura

Il divieto di intermediazione nei commerci: una norma tra tradizione e morale greca

Di Giuseppe Pellegrino

Invero, non ci è dato di conoscere la norma per come elaborata. La notizia ci viene da Eraclide Lembo che così, in un frammento, la cita:

Tra di loro [i Locresi] non vi sono negozi di vendita al dettaglio, ma il contadino vende i suoi prodotti [direttamente].

Riteniamo che la norma di divieto di intermediazione non esista, ma sia solo una diretta conseguenza del baratto in mancanza di moneta. Ma prima di esporre questo convincimento, è bene evidenziare le posizioni di molti storici e anche dello stesso Platone nell’opera scritta, si presume, in Italia.
Il divieto certo riguardava i commestibili, perché questo era legato direttamente al Klèros e alla sua funzione.
Tre sicuramente furono le previsioni di Zaleuco, che hanno determinato all’inizio della Repubblica dei Locresi di Epizefiri la sua grandezza e poi in sé stesse contennero le cause della sua decadenza. La prima è quella del divieto di emettere moneta alla polis.
La seconda la sclerotizzazione del klèros, e in ordine alla vendita e in ordine alla divisione tra eredi. Questo divieto aveva un suo vizio originario, fin dalla legislazione micenea, tanto che vi è certezza anche per Sparta; e anche per Sparta fu una causa di decadenza. Si rinvia all’apposito Capitolo.
La terza è questo divieto che ha sclerotizzato la società produttiva locrese, impedendo la nascita di una nuova e diversa classe sociale, come quella dei commercianti. Chi produceva doveva vendere, perché il guadagno che poteva venire dalla mediazione della vendita dei prodotti era considerato immorale.
La norma trova, a parere di molti, supporto nell’antica morale greca. Era immorale, infatti, trarre un guadagno da una attività non creativa e dunque non diversamente dal prestare danaro con tassi di interesse. Tuttavia è Aristotele a darci la misura per capire, posta la sua contrarietà per ogni attività parassitaria, e l’intermediazione lo era, come l’usura. Si trattava di attività parassitarie che portavano scarso guadagno al produttore, ma potevano arricchire chi lo praticava. Ne derivava scarso benessere sociale per chi produceva e una disuguaglianza tra i cittadini. Così il filosofo nella sua Politica

Poiché [il nomisma, la moneta] fu introdotto in vista dello scambio [dei prodotti], mentre l’interesse lo fa crescere sempre di più (e da qui pare tratto il nome: in realtà gli esseri generati sono simili ai genitori e l’interesse è la moneta dalla moneta); sicché questa è una forma di guadagno la più contraria a natura.

Ergo, il guadagno derivante da una non attività, come poteva essere l’usura o simile, o da una attività di intermediazione, che non prevedeva la fatica a monte, non era moralmente legittimo. Il solo fatto che il guadagno per essere frutto di una mera intermediazione tra il produttore e il consumatore, stabilendo da solo, peraltro, come negli interessi, la sua misura di guadagno, era da considerarsi un’attività immorale. Facile capire, che al concetto si sia interessato Karl Marx.
Dunque, più che una norma di tipo semitico, una norma di morale greca in generale, perché presso gli ebrei l’usura o l’interesse (si veda il divieto di singrafe) non era vietata in sé, ma solo verso i poveri. I locresi, in quanto Dorici, si sentivano come gli Spartani, Tutti uguali, e la moneta, come l’usura o l’intermediazione, potevano portare a una diseguaglianza sociale.
Chi produceva vendeva, e la classe locrese non prevedeva la possibilità di una società diversa dei proprietari terrieri. La cosa aveva una sua logica fino a quando a ogni locrese corrispondeva un kleros. Nel tempo, in virtù del divieto di frazionare il Kleros tra gli eredi e l’obbligo che lo stesso venisse gestito dal primogenito anche nell’interesse degli altri fratelli, sclerotizzò le classi sociali. Si aggiunga che, con il tempo, il Kleros non ebbe più la capacità di poter garantire il mantenimento di tutti gli aventi diritto e da qui nacque anche la necessità della sua divisione. A questo punto la norma decadde e nuove classi, dette stranamente popolari, mentre la loro origine non è diversa da quella dei proprietari terrieri, nacquero a Locri: erano i commercianti e gli artigiani, soprattutto. Questo fece mutare di molto anche il sistema democratico locrese, che fu più aperto a esigenze, questa volta sì, di natura popolare e democratica, nel senso odierno del termine. E tuttavia tutto questo si scontra con una semplice disamina del baratto in conseguenza del divieto di emettere moneta. È lo stesso Aristotele a darci la soluzione del problema, allorché, come sopra riportato, nello scagliarsi contro l’usura, gli interessi, preannunciando il detto latino nummus nummum parere non potest, quando afferma che (la moneta) fu introdotta in vista dello scambio (dei prodotti), per poi stigmatizzare l’applicazione degli interessi nel prestito.

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