La famiglia Vitale a Bovalino
Di Antonio Ardore
La Famiglia Vitale, originaria di Reggio Calabria, ha avuto dimora nel comune di Sant’Ilario dello Ionio. Qui il vecchio palazzo di famiglia, dei primi anni dell’800, è sede del Comune.
Dopo l’Unità d’Italia del 1861, la Famiglia ebbe dalla Real Casa Savoia il titolo di cavaliere e lo stemma nobiliare. Questo è inquartato e rappresenta “una torre [di Condojanni], l’aquila, il cammello e tre stelle a cinque punte poste in triangolo”. Mentre nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana del 1936 non riporta la Famiglia Vitale di Rosa tra le famiglie aristocratiche d’Italia. In questo periodo esisteva la Famiglia Vitale a Reggio Calabria. Lo stemma Vitale di Rosa era stato rubato agli inizi degli anni ’80 del ‘900 per poi essere ritrovato alla fine del ‘900.
Nel 1880 si trasferirono a Bovalino, dove acquistarono il fondo chiamato Rosa, dove il cavalier Antonio realizzò il palazzo ultimato nel 1881. Più tardi, nel 1890, eresse la chiesetta o cappella gentilizia San Michele Arcangelo. Il palazzo Vitale di Rosa fu abitato fino ai primi anni ’60 del ‘900.
L’altra linea della Famiglia Vitale si trasferì a Bovalino dopo il terremoto del 1908, anche se dimoranti in paese e lontani dal palazzo Vitale.
Il fondo Rosa era collegato con delle strade al palazzo Donna Palumba di Bovalino Superiore, la via Dromo e la località Coltura.
Nella parte alta del fondo c’era il palazzo, il frantoio di fine ‘800 e il nuovo frantoio degli anni ’50, la chiesetta e la casa del fattore. Agli inizi dell’anno 2000 il palazzo e i 2 frantoi sono stati abbattuti perché pericolanti. Rimangono la chiesetta e la casa del fattore trasformata in ristorante.
Negli anni ’70 del ‘900 il fondo fu lottizzato, vendendo in parte ai privati e dove l’Amministrazione comunale costruì la scuola elementare. Famosa era la Scuola di Rosa, ospitata in un locale e affacciata nella corte del palazzo, che raccoglieva tutti i bambini della zona. Prese fuoco nell’anno 1999, che portò al crollo del tetto e al taglio dell’albero dell’olmo piantato dall’insegnante Giuseppe Ruffo negli anni ’60 per la giornata dell’albero. Tra gli insegnanti si ricordano il maestro Francesco Panuzzo, e poi Giuseppe Ruffo, Domenico Gelonese e Domenico Minuto.
Il terreno era piantato a ulivi, querce e una vigna di zibibbo, di cui era responsabile il fattore.
La chiesetta di San Michele fu costruita dal cavalier Antonio nel 1890, è a navata unica e all’altare alla romana era esposto il quadro raffigurante San Michele, mentre a sinistra c’è una stampa antica di San Francesco di Paola e a destra quella di Santa Maria Francesca. La chiesa è stata restaurata nel centenario dell’edificazione nel 1990 su interessamento degli abitanti vicini al fondo Rosa. È totalmente ristrutturata dopo l’acquisto del fondo Rosa dai nuovi proprietari. C’è l’usanza di chiamare le nuove bambine con il nome Rosa.
Nel racconto Le memorie del vecchio maresciallo (padre del Prefetto Edoardo Zappia), dello scrittore Mario La Cava del 1958, il protagonista ricorda un fatto successo: erano state rubate le ciliegie dei Ceravolo nel terreno di Prato e questi, saputo che erano stati i coloni dei Vitale, si organizzarono un gruppo di gente amici dei Ceravolo con bastoni e pestarono il fattore dei Vitale e rubarono lo zibibbo.