Costume e SocietàLetteratura

La notte tumultuosa notte di Rocco tra scontri politici e nuovi sentimenti

Storie d’altri tempi

Di Francesco Cesare Strangio

Domenico Tagliaferro, oltre al figlio maschio di nome Luca e Patrizia, aveva un’altra figlia di nove anni di nome Marcella.
Rocco prese posto al tavolino vicino alla finestra. A quell’ora Patrizia era indaffarata a servire i clienti che transitavano verso i paesi successivi.
Un’ora d’intenso lavoro permise a Rocco di calcolare approssimativamente il giro d’affari dell’attività. Naturalmente fece il confronto con quello che guadagnava lui dopo una giornata di duro lavoro. La differenza, a favore dei Tagliaferro, era schiacciante; una tal evidenza, da un lato lo rallegrò e dall’altro lo rattristò.
Finito il flusso del rientro, si fece l’ora della chiusura del locale.
Rocco, avendo intuito che avevano esigenza di chiudere, si alzò e andò al bancone e chiese: «Quanto devo?»
Patrizia lo guardò a lungo come se volesse rivelargli qualcosa. Rocco la guardava con occhi attoniti.
«Per te non viene niente!» rispose la ragazza.
Lui era lì, con i soldi in mano, come un bambino smarrito. Patrizia allungò la mano e gli accarezzo il volto: la carezza provocò in lui un brivido che gli interessò l’intero corpo ed ebbe un leggero mancamento.
Tornato in sé, salutò e se ne andò.
Rocco si sentì leggero come un gabbiano, la testa gli ronzava come se fosse interessata da un nido di vespe.
Salì lentamente sulla moto e partì per fare un giro in paese prima di rientrare a casa. Quando arrivò in piazza, incontrò Enzo il fascista che passeggiava con altri tre camerati. Rocco era un fascista senza nessuna base ideologica, quindi pericoloso.
Fermò la moto e salutò i tre con il saluto romano.
«Rocco, dove vai girando?» domandò Enzo.«Sono in giro perché mi annoio di rimanere a casa.»
«Dai, parcheggia la moto e vieni che andiamo a farci un paio di birre.»
Parcheggiata la moto, Rocco s’incamminò con i tre.
Enzo, con il suo metro e novanta, primeggiava sul gruppo. Rocco era più basso di quasi dieci centimetri, ma come massa muscolare non era da meno di Enzo.
Al bar Primavera c’era il solito gruppetto, che centellinava un Amaro del Capo. In un angolo stava il compagno usciere con il giovane segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana del paese.
Il compagno usciere, nel vedere Rocco accompagnarsi con i tre fascisti, lo guardò con area di disprezzo.
Rocco non cercava altro, aveva voglia di fare questioni: «Che cazzo hai da guardarmi in quel modo?» disse Rocco, rivolgendosi al compagno usciere.
Il compagno impallidì.
Il segretario della FGCI, che di nome faceva Marcello detto Stalin, prese le difese del compagno usciere, dicendo: «Il compagno ti guarda con disprezzo, perché ti accompagni con dei miserabili fascisti.»
Nel sentire quelle parole, Enzo s’imbestialì e si avventò contro il giovane segretario, lo sollevò di peso e lo sbatté per terra al centro della sala. Fece per alzarsi ma il fascista lo prese per la collottola e lo accompagnò fuori a pedate. Il compagno usciere rimase pietrificato nel vedere quanto era successo al compagno segretario, fece per alzarsi, ma Rocco gli tirò un pugno in testa dall’alto verso il basso; il colpo fu tale che l’uomo svenne. Rocco lo sollevò di peso e lo portò fuori vicino al compagno segretario.
Quando rientrò nel bar, c’era il marito di Nicoletta con gli occhi di fuori. Fece per accennare qualcosa a riguardo al comportamento dei due, ma le sue parole non oltrepassarono il limite delle labbra. Rocco non aspettava altro: se l’uomo avesse pronunciato una sola parola, l’avrebbe riempito di botte.
«In questo bar frequentato da comunisti, io non metterò più piede» disse Rocco, stizzito.
«Quel verme si sentiva forte perché era in compagnia di quel debosciato di Marcello. Spero che la lezione sia servita!»
I quattro ordinarono ciascuno una Tuborg da mezzo litro. Il gruppo dei neofascisti era seduto vicino alla vetrata del bar a osservare i due compagni coricati a terra, dopo un pò, i due si alzarono e andarono via barcollando.
«Pensavo di averlo ucciso» disse Rocco compiaciuto.
«I comunisti hanno la pellaccia da coccodrillo. Solo la P38 li può sistemare» aggiunse con disprezzo Enzo.
Seguì una risata.
Stefano non vedeva l’ora che i quattro lasciassero il locale, per paura non osava neppure farglielo capire con lo sguardo. Contrariamente a quanto pensava, si dimostrò disponibile a tal punto che, una volta finita la Tuborg, offrì ai quattro un giro di birra.
Erano quasi le undici quando Rocco si alzò, chiese scusa ai tre e s’incamminò verso casa. Quando varcò la soglia, trovò la nonna ottantenne seduta sul dondolo a lavorare all’uncinetto: stava facendo un maglione di lana colore blu scuro.
«Nonna, non sei andata a dormire? È mai possibile che se non mi vedi rientrare, non ti dai pace? Non sono più il piccolo bambino caduto dal letto…»
La nonna volse lo sguardo verso di lui, e con la dolcezza tipica delle vecchie donne di paese, disse: «Con la testa che ti ritrovi, non imparerai mai a badare a te stesso!»
«Tranquilla, sto mettendo la testa a posto. Pensa, sto corteggiando Patrizia la maestrina!»

Continua…

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