“La ricreazione è finita”: il ritratto generazionale del romanzo di Dario Ferrari
Pensieri, parole, opere… e opinioni
Per partecipare all’ultima edizione del Premio Letterario Mario La Cava, andata in scena ieri sera nella bella Piazza Ruffo di Bovalino, ho avuto il piacere di leggere l’opera finalista La ricreazione è finita dell’autore viareggino Dario Ferrari.
Il romanzo narra di Marcello, trentenne senza un vero lavoro che pare avere nella vita l’unico scopo di prolungare ad libitum la sua condizione di post-adolescente fuori tempo massimo. Il suo unico obiettivo è non finire come suo padre a occuparsi del bar di famiglia ed è solo per spirito di contraddizione che partecipa a un concorso di dottorato in Lettere di cui, imprevedibilmente, risulta vincitore. Entra così nel mondo accademico e il suo professore, tipico barone universitario dal significativo nome di Raffaele Sacrosanti, gli affida come tesi un lavoro sull’autore viareggino Tito Sella, finito in carcere con l’accusa di terrorismo, dove ha finito i suoi giorni componendo un’autobiografia mai ritrovata. Lo studio della vita e delle opere di Sella alimenta in Marcello un’empatia con il terrorista-scrittore che lo aiuterà a destreggiarsi tra le lotte di potere e le contrapposizioni ideologiche del mondo universitario, facendolo riuscire a scoprire la verità che si cela dietro le azioni di Sella nonostante tutti avessero scommesso che non sarebbe riuscito nell’impresa.
Durante il piacevole confronto con Ferrari sono emersi i significati e le interpretazioni molteplici a cui l’opera si presta, e il narrato in cui si stratificano il genere del romanzo universitario con il romanzo di formazione, che pone in parallelo due giovinezze incompiute, diverse eppure stranamente simmetriche.
Il romanzo di Ferrari è stato largamente apprezzato dai lettori del Caffè Letterario Mario La Cava (al quale non smetterò mai di tributarie il merito di aver ideato una manifestazione che insiste nel celebrare la meraviglia della letteratura ritagliandosi anno dopo anno il suo spazio nel panorama dei concorsi di genere di importanza nazionale) che hanno voluto sottolineare un parallelismo tra il Marcello Gori dell’autore di Viareggio e lo Zeno Cosini di Italo Svevo. Eppure, per me che l’ho letto con gli occhi di un Millennial proprio come è Ferrari e, gioco forza, il suo Marcello, la definizione di inetto mi pare che finisca con l’andare stretta per questo personaggio dalle mille sfaccettature.
Ci sono opere che sono in grado di inquadrare perfettamente le caratteristiche di un’intera generazione, nelle quali il pubblico riesce a identificarsi totalmente, comprendendo ogni motivazione che spinge i protagonisti a comportarsi in un determinato modo perché avrebbe fatto lo stesso. Come lettore non posso che augurare a tutti di identificarsi almeno una volta nella vita con i personaggi di un’opera e, dal canto mio, ritengo di essere tra i pochi fortunati a cui questa cosa è capitata più volte e, nello specifico, con le situazioni descritte nei graphic novel di Michele Rech, da tutti conosciuto come Zerocalcare, e proprio con il Marcello di Ferrari, che incarna tutte le incertezze e le difficoltà a cui deve fare fronte la mia generazione, troppo spesso bollata come superficiale da chi ha sulle spalle qualche anno in più rispetto a noi.
Come ha avuto modo di spiegare Ferrari ieri sera, la differenza sostanziale tra il Cosini di Svevo e il suo Gori è che se il primo sceglie di lasciare scorrere la propria vita nell’inettitudine in un periodo storico in cui tutti attorno a lui erano impegnati a costruire un mondo nuovo, il secondo ha la sola colpa di essere figlio del proprio tempo, di una società che di fa andare bene non perché non ne capisca le contraddizioni, ma perché non ha la forza morale di cambiarla.
È indubbio che questo non sia l’atteggiamento ideale per lasciare un mondo più vivibile ai nostri figli, ma è anche vero che non viene messo nelle condizioni di poterlo fare da chi detta le regole, che si limita a bollarlo choosy dall’alto della sua posizione di potere senza rendersi conto che, così facendo, legittima la scelta di ipotecargli il futuro. Dopo che i nostri padri hanno potuto scegliere che cosa fare della propria vita, non solo ci viene impedito di fare lo stesso, ma ci viene addirittura imputata la colpa di questa condizione, esattamente come avveniva per la condizione sociale della generazione dei reazionari, quella a cui nel romanzo appartiene Sella, con il quale Marcello finisce con il condividere le lotte.
Tuttavia, se gli anni ’70 erano il tempo della lotta armata e con quella Sella e suoi amici rispondono ai soprusi della società italiana, la generazione di Gori questa lotta la può condurre solo per vie traverse, provando con i suoi pochi mezzi a mettere in guardia chi è convinto di poterlo muovere con una pedina di aver solo giocato a fare l’inetto quando in realtà è molto più sgamato di ciò che ha fatto credere e pronto a minare i pilastri di una realtà sociale che è più che mai urgente sovvertire.
Un po’ come a dire a chi si è convinto che i Millennial siano già fuori dai giochi che, anche se ci vorrà più tempo rispetto a quanto hanno fatto le generazioni che ci hanno preceduto, anche noi siamo pronti a lasciare una traccia importante in questo pazzo mondo.