La tragedia di Ilone: leggi, passioni e tradimenti al tempo dell’antica Locri
La Legge è uguale per tutti
Di Giuseppe Pellegrino
Il giorno dell’udienza Zaleuco, con fare pedante, e con sguardo accusatore, ricordò a Dorimaco che la legislazione locrese era chiara, come chiaro era il suo fine. Nessuno poteva vendere la proprietà e dissipare i beni della famiglia, onde evitare l’accrescersi del latifondo, con la conseguente e pericolosa preminenza di uno sull’altro; nessuno tranne chi fosse stato colpito da calamità naturale devastante. I costumi di Dorimaco erano la causa della sua sventura, non la calamità. Se non era in grado di remunerare servi per coltivare i campi, egli era ancora giovane per farlo direttamente. Così sentenziò il magistrato, che si guadagnò l’odio eterno del postulante. E non solo.
Se per Dorimaco la sua situazione economica era insostenibile, per Zaleuco non aveva raggiunto il fondo.
In tale situazione, l’offerta di Ilone di chiedere in moglie Euridice, era stata considerata dal padre come un dono degli Dei e il Siracusano venne accolto con tutti gli onori. Ma le nozze fastose non furono mai consumate. Euridice aveva sempre una indisposizione da frapporre. Presto Ilone non ci fece più caso, la sua mente e il suo cuore non provavano emozione per la donna. Le nozze le aveva volute inconsciamente per avere un erede, consciamente per avere una situazione di maggiore prestigio a Locri. Per il resto le uniche emozioni le aveva chiuse in casa. E forse fuori dalla sua casa. Si narrava che la casa di Ilone non solo avesse un gineceo immenso e l’andronitis di grande stazza, il peristilio che permetteva passeggiate al sole, la cucina a sud, la latrina a occidente. Ma, soprattutto, avesse un’ala che aveva porte spesse e serrature pesanti, alla quale nessuno aveva accesso, neppure Euridice. Qui, si mormorava, Ilone solitario contemplava le sue non esponibili ricchezze. Vi erano ori, argenti, bronzi e piatti in rame; vi erano statue in bronzo e piccole e rotonde laminette in oro, argento, bronzo e rame, con raffigurazioni di re, eroi, strateghi che servivano, si diceva, per commerciare con lontani paesi: cose mai viste da nessuno. Qui Ilone si beava fino a sudare per l’emozione e provare qualcosa che si avvicinava a un orgasmo forse mai avuto veramente.
Tante altre cose si dicevano di Ilone: che avesse una ravvicinata amicizia con Tissaferne e che Tirso frequentasse molto la sua casa anche in ore non convenienti.
Zaleuco aveva considerato queste voci come mere calunnie e non vi aveva mai dato retta. Certo l’andronitis era di tutto rispetto e non vi era un altro pari a Locri. Ma Ilone non era locrese.
Euridice cominciò a scendere dal gineceo.Era vestita con una tunica di lana molto finemente tessuta, cucita alla dorica, senza maniche e con le spalle tenute insieme da due fermagli di bronzo. Appena Zaleuco la vide, inconsciamente guardò l’orlo inferiore della veste, come per vedere se strisce di porpora la adornassero. Subito si vergognò del pensiero preconcetto. Come pensare che la figlia di Segesta, donna delle Cento Case, violasse la legge che vietava tali lussi? E poi la porpora era cosa per donne di malaffare.
La donna cominciò a discendere le scale con una grazia che la semplice veste di lino indossata aumentava. Zaleuco si credeva immune, ormai, da certe passioni, ma la visione che si presentò era di quelle carnali e celestiali allo tesso tempo. La sua mente rivangò le note del mercenario di Paro:
Aveva un ramo di mirto e gioiva
e un fiore bello di rosa.
La chioma
copriva d’ombra gli omeri, le spalle.
Ora la fitta allo stomaco era passata, perché la sua mente andò lontano nel tempo e distante dalla casa di Ilone. Pensò alla madre, il magistrato, che non aveva mai conociuto. Chissà se sua madre era bella come la donna che le stava davanti? Mai aveva visto il volto della madre che era morta dandolo alla luce. Spesso si sforzava di inventarsi il volto, il corpo, il portamento e la sua mente gli rimandava una figura bellissima, alta e ben fatta, ma dai contorni incerti. Non portava fortuna il nome di Euridice. Non l’aveva portato alla sposa di Orfeo, che per ben due volte, in poco lasso di tempo, ritornò all’Ade. Non aveva portato fortuna a sua madre e neppure la donna giovane, sensuale e apparentemente ingenua che gli stava davanti poteva vantare il favore degli Dei.
La donna si avvicinò ai due, ma salutò direttamente solo Zaleuco, quasi ignorando Tirso, ed esclamò: «A che dobbiamo l’onore della tua visita, Splendente?»Nessuno da tempo lo chiamava così, usando l’accezione del suo nome. Il vecchio magistrato ebbe la sensazione che nella voce della donna ci fosse un senso di voluta adulazione per stornare la sua concentrazione. E questo avvenne, il ritardo nella risposta diede l’opportunità a Tirso di dire: «Con grande dolore siamo ambasciatori di una triste notizia, Euridice, di quelle che nessuno vorrebbe portare. È stato trovato il corpo esanime di Ilone, colpito a tradimento sulla strada che porta a Zeffirio, sicuramente senza dargli il tempo di reagire.»