La tutela penale della libera concorrenza tra incertezze applicative e proposte di riforma
Le riflessioni del centro studi
Di Alfredo Arcorace – Avvocato del Foro di Locri
La libertà di iniziativa economica è tutelata dall’art. 41 della Costituzione, ma è sottoposta a due limitazioni. Essa, infatti, non si può svolgere “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” ed è sottoposta al controllo statale perché “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
L’idea del legislatore costituente era quella di puntare allo sviluppo di un sistema economico misto nel quale l’iniziativa pubblica e quella privata potessero concorrere per il perseguimento delle finalità di uguaglianza sociale di cui all’art. 3, comma 2.
Malgrado l’intenzione del legislatore costituente si è dovuto attendere la legge 287 del 1990 per avere, sulla spinta delle istituzioni comunitarie, una disciplina organica della concorrenza che attuasse l’idea dell’iniziativa economica privata, concorrente e complementare a quella pubblica, ispirata a un modello di utilità sociale.
La legge 287 del ’90 introduce nel nostro ordinamento la definizione di abuso di posizione dominante e vieta tutte le condotte che alterano o falsano la libera concorrenza attraverso accordi o comportamenti che possono produrre effetti distorsivi sul mercato.
La disciplina normativa del ’90 rafforza la tutela prevista dall’art. 2.598 c.c., che vieta tutte le condotte imprenditoriali o professionali che possono nuocere alla reputazione e all’iniziativa economica altrui.
La tutela in ambito civilistico è ampia ed efficace; nel sistema penale, invece, la tutela della concorrenza ha subito un percorso tortuoso, perché solo con la legge Rognoni – La Torre è stato introdotto nell’ordinamento l’art. 513 bis c.p. con l’intento di colmare, sotto spinte emergenziali, il vuoto di tutela determinato dal ricorso poco efficace all’art. 629 e all’art. 513 c.p. per punire condotte di violenza e di minaccia nel circuito dell’impresa e della concorrenza.
Infatti, il bene giuridico tutelato dall’art. 629 c.p. è la capacità di autodeterminarsi di un soggetto e il suo patrimonio, mentre il bene giuridico tutelato dall’art. 513 c.p. è il libero esercizio e il normale svolgimento dell’industria e del commercio. Le due norme, pur nella loro massima estensione interpretativa, non consentivano la repressione di quei comportamenti che eliminavano alla radice qualsiasi forma di concorrenza attraverso forme di condizionamento, anche implicito, con violenza o minaccia, attuate non direttamente nei confronti dell’imprenditore ma nei confronti dei suoi collaboratori, dipendenti o professionisti oppure attuate mediante forme di aggressione e danneggiamento dei beni dell’impresa.
In sostanza, nell’estorsione, l’azione violenta si risolve nella coazione fisica e psichica nei confronti dell’imprenditore, ma non sanziona i comportamenti violenti o minacciosi non direttamente rivolti all’imprenditore ma che si traducono in una manipolazione dei meccanismi di funzionamento dell’attività economica concorrente. La fattispecie di reato prevista dall’art. 513 c.p., invece, punisce qualsiasi forma di violenza sulle cose per impedire o turbare l’esercizio dell’attività di impresa, ma non copre i casi in cui la violenza è posta in essere nei confronti dell’imprenditore o dei suoi collaboratori.
Con l’introduzione dell’art. 513 bis c.p. il legislatore ha cercato di colmare il vuoto di tutela della libera concorrenza introducendo una norma volta a tutelare l’ordine economico nel suo complesso e non solo la capacità di autodeterminazione del singolo imprenditore.
La fattispecie in esame è strutturata nella forma dei reati di pericolo a forma libera e ciò ha fatto sorgere fin dalla sua entrata in vigore forti dubbi di costituzionalità per l’assenza, anche in ambito civile, della nozione di atto di concorrenza.
Tale indeterminatezza è ammissibile nel diritto civile perché l’attività d’impresa è espressione dell’autonomia negoziale ed è libera nelle sue forme sicché gli atti di concorrenza possono assumere un significato diverso con il mutamento e l’evoluzione delle pratiche commerciali.
Nel diritto penale, invece, la condotta dev’essere sufficientemente determinata per evitare qualsiasi interpretazione arbitraria.
I dubbi di legittimità costituzionale hanno alimentato un vivace dibattito che ha dato origine a tre diversi orientamenti interpretativi, nessuno dei quali capace di superare i dubbi nell’applicazione pratica della norma, tanto che deve auspicarsi l’intervento del legislatore.
Continua…
Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023