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Massimo Cusato: «Sogno che “Ai Confini del Sud” getti un ponte verso il futuro della Locride»

Quattro chiacchiere con…

Inizia oggi, venerdì 3 gennaio, la nuova edizione invernale del festival Ai Confini del Sud e, per comprendere la sua evoluzione e rilevanza culturale, abbiamo intervistato Massimo Cusato, fondatore e direttore artistico della manifestazione. Ecco cosa ci ha raccontato in un dialogo ricco di spunti e riflessioni.
Come è nata l’idea di un’edizione invernale?
Siamo al secondo anno dell’edizione invernale. Il festival esiste fin dal 1998, anche se ha subito uno stop di nove anni. L’iniziativa è stata rilanciata tre anni fa grazie al supporto dell’amministrazione comunale e dell’assessore Domenica Bumbaca, che ha creduto profondamente nella sua ripresa. L’obiettivo era chiaro: non solo riproporre l’evento, ma anche ampliarne la portata culturale, coinvolgendo nuovi pubblici e valorizzando ulteriormente il territorio.
Quali sono state le motivazioni alla base della nascita di Ai Confini del Sud?
L’idea si è sviluppata durante i miei viaggi in tournée con artisti come Eugenio Bennato. In quella fase mi sono chiesto perché non organizzare un evento analogo nella mia terra. La mia passione per generi come il jazz, il funk, la world music e la musica popolare ha dato forma a un festival che integra queste influenze. La mia priorità è sempre stata la qualità, in contrasto con le tendenze musicali attuali, spesso, a mio avviso, prive di sostanza. Trovo ispirazione nelle produzioni musicali degli anni ‘60 e ‘70, che considero ancora oggi un modello di riferimento. In particolare, volevo creare un luogo d’incontro per artisti di generi diversi, un palcoscenico che fosse capace di raccontare storie universali attraverso linguaggi musicali variegati.
Quali ostacoli hai incontrato nel mantenere vivo il festival?
La sospensione di nove anni è stata dovuta alla mancanza di supporto da parte dell’amministrazione dell’epoca. Iniziative come questa necessitano del sostegno di enti e associazioni che credano nel valore della cultura e scelgano di investire in essa. Locri, che sin dall’epoca della Magna Grecia è un centro culturale di rilievo, merita eventi di spessore. La mia missione è contribuire, attraverso la musica, alla valorizzazione di questa straordinaria eredità. Purtroppo, spesso il contesto locale non facilita chi vuole proporre innovazione e qualità: occorre lottare contro la burocrazia, il disinteresse e, a volte, persino lo scetticismo degli enti. Nonostante ciò, ho sempre creduto nel potenziale di questo progetto.
Quali sono le principali differenze tra le edizioni estive e invernali?
L’esperienza di suonare in teatro, in un ambiente chiuso, offre un’intimità unica per i musicisti e il pubblico. Tuttavia, l’atmosfera all’aperto dell’edizione estiva, con il bel tempo e una platea numerosa, ha un fascino speciale. È gratificante vedere le persone godere delle performance di artisti di rilievo come i Dirotta su Cuba, Bungaro, Mario Venuti e Francesco Baccini. Ogni edizione, comunque, è un successo grazie al costante supporto dell’amministrazione comunale. L’edizione invernale consente di esplorare repertori più intimisti e sperimentali, adattandosi alla dimensione raccolta di uno spazio teatrale, mentre quella estiva permette una maggiore varietà di espressioni artistiche e una partecipazione più ampia. In questo modo, il festival riesce a dialogare con sensibilità e aspettative diverse.
Quali sono le prospettive future del festival?
Uno dei miei obiettivi è organizzare eventi nel nuovo teatro comunale non appena sarà operativo, continuando comunque a mantenere le manifestazioni nel cuore della città. La qualità artistica resterà una priorità, anche con risorse limitate. Non puntiamo sui grandi numeri, ma sulla profondità e sul valore culturale dei contenuti proposti. Vorrei inoltre ampliare la programmazione includendo incontri tematici, workshop e masterclass che possano coinvolgere attivamente il pubblico, offrendo non solo spettacoli, ma anche momenti di formazione e dialogo. Credo che un festival debba essere un’esperienza multidimensionale, capace di lasciare un segno tangibile nel contesto in cui opera.
Esiste la possibilità di collaborazioni con altri festival locali?
Certamente. Ad esempio, il nostro festival e il Roccella Jazz Festival ideato dal compianto Vincenzo Staiano condividono l’impegno verso una proposta culturale di qualità, sebbene con prospettive diverse: uno è focalizzato sulla world music, l’altro sul jazz. Sarebbe stimolante intrecciare queste due realtà per offrire nuove esperienze e arricchire ulteriormente il territorio. Ritengo che la collaborazione sia una chiave fondamentale per la crescita del panorama culturale locale, poiché consente di mettere in comune risorse, competenze e pubblici. Una rete di festival potrebbe trasformare la Locride in un vero e proprio polo culturale, capace di attirare visitatori e artisti da tutto il mondo. Si tratta ovviamente di un auspicio non riferito al successo individuale, ma di un sogno collettivo per un territorio che merita di essere riscoperto e vissuto appieno attraverso la musica e l’arte.

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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