Di Giuseppe Pellegrino
Da tutta questa sua forsennata energia Tirso aveva ricavato un indiscutibile prestigio, che ben presto la aveva avvicinato alla politica. Le sue qualità avevano fatto il resto. Seppure giovane faceva parte del Consiglio dei Mille.
Tirso quel giorno, a malincuore, si era recato da Zaleuco, perché giammai lo avrebbe disturbato se non per cose della massima importanza, anche per il fatto che odiava il Magistrato.
Zaleuco si svegliò del tutto. Si alzò mettendo la mano sulla benda che copriva l’occhio sinistro mancante. Una fitta passò nella sua testa. Ma era solo il riflesso del ricordo di quella ferita, non un vero dolore. Alzatosi si avviò nel peristilio, dove Tirso, accompagnato da un servo armato, seppure egli stesso con la spada, per dare risalto alla sua figura, lo aspettava.
Appena lo vide, il giovanotto fece un cenno di saluto con mezzo inchino, e disse: «Mi dispiace Zaleuco di avere disturbato il tuo riposo, ma notizie gravi mi sono state comunicate da Tissaferne, comandante degli opliti.»
Tirso chiamava Zaleuco sempre per nome. Odiava il Magistrato anche per il suo conservatorismo e, in cuor suo, la parola pastore la usava solo per ricordargli le sue povere origini. Egli non era della stirpe delle donne delle Cento Case, ma un semplice servo. Doveva il Magistrato ricordarlo sempre, poiché troppo grande era diventato il suo potere.
Tirso continuò: «Nei pressi di Aretusa, distante poco più di cinque stadi dal porto di Zeffirio, un oplita ha trovato il corpo di Ilone il Siracusano. È stato ucciso, continuò il giovane, con un gran numero di fendenti e gettato in un fosso. Il corpo è stato oltraggiato. Tissaferne sta provvedendo a portare il corpo alla famiglia per le dovute esequie. Bisogna avvisare la moglie, che non sa niente.»
Zaleuco si riperse dalla preoccupazione. A caldo la notizia sembrava meno grave di quella paventata. A caldo, poiché qualche minuto dopo realizzò quale erano le funzioni di Ilone. Egli era pròsseno a Siracusa e aveva il compito di mantenere i rapporti con la madre patria. Se i Crotonesi erano i nemici, i Siracusani erano gli alleati indispensabili per garantire la sicurezza di Locri anche dal mare. La morte oltraggiosa poteva innervosire la patria originaria di Ilone, potendosi vedere nel gesto la volontà di tagliare il cordone ombelicale con i fratelli dell’isola. Questi erano i pensieri di Zaleuco, ma la domanda non fu conseguente. «Come sai che la famiglia non sa niente del fatto?» domandò.
Tirso rispose: «Sono passato dalla sua casa di buon mattino poiché volevo parlare con Ilone, ma Euridice, la moglie, mi ha risposto che mancava da un giorno, poiché si era recato al porto dove aspettava merce. La moglie non mi è sembrata particolarmente turbata.»
Zaleuco notò che aveva usato prima il nome di Euridice e poi corretto con l’aggiunta di moglie. Ma come prima il suo parlare non fu conseguente al pensiero.
«È bene che andiamo a dare la cattiva nuova con le opportune cautele» cincischiò Zaleuco. Non indossò niente sul chiton, il mantello di lana. Il solstizio d’estate non era molto lontano e il tempo non faceva presagire un’estate calda, ma Zaleuco odiava l’ingombro di molte vesti. Al contrario, Tirso si era portato con un chiton, un mantello, corto di lino. Al cinto aveva la spada. Sopra il chiton aveva la clamide,un mantello che aveva affibiato con un fermaglio in bronzo sul petto.
Non dovettero camminare molto per raggiungere la casa del Siracusano. Se la casa di Zaleuco era vicina all’ Agorà, quella di Ilone non era molto distante. Occorreva solo superare l’Agorà di lì per la Dromo. Poco dopo vi si arrivava. Era immensa. Raggiunta la meta, vennero introdotti nell’andronitis, luogo riservato agli uomini, da un servo, e la presenza di Euridice non fu delle più veloci. Zaleuco era nervoso; Tirso mostrava una calma assoluta. Passato qualche tempo, la donna venne con passo felpato, ma deciso. Scese dal gineceo in tutto il suo splendore, vestita di una semplice tunica, leggera ed aderente. Solo i capelli, lunghi, ricci e neri, facevano ombra sulle spalle. Zaleuco provò un brivido. La donna aveva la capacità di sollecitare tutti i suoi sensi. Era bella, era sensuale. Forse un poco ingrassata da ultimo. Ma anche questo aggiungeva bellezza.
Euridice era figlia di Segesta e di Dorimaco. Segesta, discendente delle Donne delle Cento Case. Dorimaco proprietario terriero. Ma più che la terra, Dorimaco amava accompagnarsi al di fuori della mura con le donne che la sera si acconciavano con vesti orlate di porpora, cercando nel sesso l’amore che l’algida e altera Segesta concedeva di rado, senza trasporto, quasi come un dono. Forte della forza delle Donne delle Cento Case. Dorimaco si curava così poco della proprietà che presto le sue condizioni economiche divennero precarie. Difficili quando cominciò a non poter remunerare i servi che lavoravano i campi. Cercò di porre un rimedio chiedendo di essere autorizzato a vendere parte della proprietà, e fu Zaleuco a decidere.