Analfabetismo funzionale in Italia: una crisi del sistema educativo e una sfida per il futuro
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Un recente rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, pubblicato lo scorso 10 dicembre, evidenzia che un terzo degli italiani adulti non è in grado di comprendere testi complessi o applicare concetti di base. Con punteggi medi di 245 nella comprensione del testo, 244 in abilità matematiche e 231 nella risoluzione di problemi, l’Italia si colloca agli ultimi posti tra 31 nazioni, ben al di sotto delle medie OCSE (260, 263 e 250 rispettivamente). Questo deficit evidenzia non solo un fallimento del sistema educativo ma anche una criticità che mina la competitività economica e sociale del Paese.
Innanzitutto il confronto con Stati come Finlandia, Giappone e Norvegia mette in luce un ritardo strutturale che si riflette sul mercato del lavoro. La discrepanza tra competenze e richieste professionali si traduce in salari inferiori del 12% per i lavoratori italiani e in una maggiore insoddisfazione lavorativa. Le aziende lamentano la difficoltà di reperire personale qualificato, mentre solo il 20% degli italiani partecipa ad attività di formazione continua, contro una media europea del 37%.
Questo divario penalizza non solo i singoli individui ma l’intero sistema economico. La scarsa preparazione dei lavoratori italiani si riflette in una bassa produttività, limitando la capacità del Paese di competere in un mercato globale sempre più orientato verso competenze specializzate e innovazione.
Nonostante il numero crescente di laureati, il livello di competenze degli italiani resta insufficiente rispetto ai parametri internazionali. I laureati italiani ottengono infatti risultati inferiori persino rispetto ai diplomati di Paesi scandinavi, segnalando una debolezza intrinseca del sistema educativo. Questo dato sottolinea l’urgenza di riforme strutturali che rafforzino la formazione continua, valorizzino le competenze digitali e promuovano una maggiore integrazione tra istruzione e mondo del lavoro.
Nonostante l’evoluzione tecnologica abbia accentuato la necessità di competenze digitali avanzate, poi, al netto di un aumento sostanziale dell’utilizzo di internet, anche le competenze digitali degli italiani rimangono tra le più basse nei Paesi OCSE. Una carenza che non riguarda solo le generazioni più anziane, ma anche i giovani, che rischiano di trovarsi impreparati in un mercato del lavoro sempre più tecnologico e interconnesso.
Il rapporto OCSE avverte che l’analfabetismo funzionale rischia di perpetuarsi nelle generazioni future, creando un circolo vizioso difficile da spezzare. Un dato che non dovrebbe sorprendere, se pensiamo che, statisticamente, chi siede in cattedra oggi potrebbe entrare a vario titolo negli elenchi dell’analfabetismo funzionale creando delle lacune difficili da colmare negli studenti. Per tale ragione sarebbe essenziale un intervento governativo che affronti il problema su più fronti: potenziamento delle competenze di base, diffusione della cultura digitale e maggiore accessibilità alla formazione professionale. Una prospettiva non da poco se pensiamo che, storicamente, il grande paiolo della cultura in cui questi ambiti rientrano a buon diritto è stato il primo oggetto di tagli.
Eppure un piano di investimenti strategico è indispensabile per colmare il divario educativo e culturale con l’Europa. Per tale ragione ritengo indispensabile investire risorse adeguate per migliorare la qualità dell’istruzione primaria e secondaria, incentivare la formazione continua e garantire che le competenze apprese siano effettivamente spendibili nel mercato del lavoro.
Inoltre, il governo dovrebbe promuovere politiche di alfabetizzazione digitale, con programmi mirati per le fasce più vulnerabili della popolazione. L’obiettivo deve essere quello di creare una società inclusiva e competitiva, capace di affrontare le sfide del futuro con una forza lavoro qualificata e preparata.
L’analfabetismo funzionale, infatti, non è solo un problema educativo, ma una questione centrale per il futuro economico e sociale del Paese. Investire nella formazione e nell’istruzione oggi è l’unica strada per garantire all’Italia un ruolo di primo piano in un mondo sempre più competitivo domani. Un impegno deciso e coordinato in questa direzione rappresenta una sfida che il Paese non può permettersi di ignorare e che sarebbe anzi bene venisse posto in cima all’agenda di governo per l’anno che verrà…