Falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali
La tutela penale dei beni culturali
Di Francesco Donato Iacopino, Emanuele Procopio, Giovanni Passalacqua ed Enzo Nobile
La falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali è disciplinata dall’art. 518-octies del codice penale, che testualmente così recita:
Chiunque forma, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa o, in tutto o in parte, altera, distrugge, sopprime od occulta una scrittura privata vera, in relazione a beni culturali mobili, al fine di farne apparire lecita la provenienza, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
Chiunque fa uso della scrittura privata di cui al primo comma, senza aver concorso nella sua formazione o alterazione, è punito con la reclusione da otto mesi a due anni e otto mesi.
La norma in esame impone, prima di tutto, di dare una precisa definizione giuridica al termine scrittura privata, posto che essa non trova alcuna definizione sia nella legge civile sia nella legge penale.
E, sommesso credere di chi scrive, essa potrebbe desumersi in base alla sua specifica funzione che è quella di fissare in un documento, redatto senza l’assistenza del pubblico ufficiale, qualsiasi dichiarazione di volontà o di scienza, avente rilevanza giuridica e, nel caso in esame, tale atto di volontà è da individuarsi nella formazione ex novo di un documento o nella alterazione di altro documento vero al fine di fare apparire la provenienza lecita di un bene culturale oggetto di delitto.
Intesa in questi termini la definizione giuridica della scrittura privata, essa può riguardare non solo la nascita, l’esercizio, l’estinzione del diritto soggettivo ma anche qualsiasi circostanza idonea a spiegare effetti giuridici nell’ambito di un rapporto giuridico.
Da ciò consegue che, in ambito penalistico, ha un contenuto più ampio di quello previsto nell’ordinamento civile e come tale non può essere circoscritta agli atti che contengono dichiarazioni o manifestazioni di volontà idonee a produrre la nascita, la modifica o l’estinzione di un diritto soggettivo, ma comprende anche tutte le scritture formate da un privato che si riferiscono a situazioni dalle quali possono derivare effetti giuridicamente rilevanti, vantaggiosi o dannosi per un determinato soggetto.
La fattispecie delittuosa in esame, considerato che il bene giuridico tutelato è da individuarsi nella fiducia che i consociati ripongono nella sicurezza della circolazione dei documenti e nella protezione degli specifici interessi connessi con la loro genuinità ed integrità, è un reato di pericolo atteso che, perché essa si integri, non è necessario un danno effettivo, ma la consumazione del reato prescinde dal verificarsi di un pregiudizio di natura patrimoniale.
L’elemento oggettivo del reato è rappresentato dalla formazione in tutto o in parte di un documento al fine di nascondere la provenienza delittuosa di un bene culturale.
Esso può anche essere rappresentato dalla condotta posta in essere dal soggetto attivo del reato che compie in tutto o in parte atti di alterazione o attività di distruzione di soppressione o di occultamento di una scrittura privata vera sempre al fine di occultare la provenienza delittuosa del bene.
L’elemento soggettivo è da individuarsi nel dolo specifico, atteso che la volontà dell’agente nel compiere la condotta di falso in scrittura privata è rappresentato dal danno procurato ad altri al fine di vantaggio perseguito dall’agente.
Il danno procurato al soggetto passivo del reato può essere di qualsiasi natura e può consistere in qualsiasi utilità patrimoniale e non patrimoniale, legittima o illegittima, sicchè il delitto sussiste anche quando si sarebbe potuto ottenere lo stesso risultato mediante l’uso di una scrittura genuina.
Il vantaggio può essere anche di sola natura morale e può concretizzarsi anche in una mera ragione di comodità.
Tratto da La tutela penale dei beni culturali, Key Editore