Di Francesco Cesare Strangio
Mario si trovò in forte imbarazzo, sperava che Teodora non avesse sentito nulla; stimolato dalla curiosità e d’altrettanto dubbio, andò al bancone e conferì con Nicoletta.
Terminato il discorso con Nicoletta, mosse per fare ritorno dagli altri. Nel passare davanti alla saletta, incrociò lo sguardo di Teodora: gli occhi della ragazza erano infuocati, i suoi pori trasudavano veleno; se avesse potuto, l’avrebbe fulminato con lo sguardo. Mario disse a sé stesso: “Adesso son cazzi…”
Il gruppo riprese i ragionamenti saltando da una parte all’altra con voli pindarici.
Marco, quella domenica stava al bar Primavera seduto al solito tavolino che dava sulla piazza, ascoltava affascinato la passione con cui i presenti portavano avanti i propri ragionamenti. Come per incanto il farmacista toccò il tasto tasse e comunismo. Era l’argomento cui difficilmente si riusciva a sfuggire.
Osvaldo rideva a più non posso per le lamentele degli amici. Lui era come il moscone che osservava da lontano la tela costruita dal ragno per intrappolare le piccole mosche mentre lui, se malauguratamente fosse andato a sbattere contro la rete, l’avrebbe sfondata. La forza di Osvaldo consisteva nell’essere fiscalmente residente in Svizzera; diversa cosa era per il farmacista e per il medico: si trovavano in una posizione tale da rimanere immancabilmente intrappolati nella tela del fisco.
Mario, a differenza della volta precedente, riprese a seguire i ragionamenti del gruppo con particolare interesse; lo scopo era di capire il livello in cui stavano in materia di evasione fiscale.
Quando si rese conto che il farmacista era solo esperto nello spiare dalle fessure delle persiane, Mario intervenne: «Vedo che siete degli abili professionisti in materia. Certamente il qui presente farmacista non può perdere tempo a pensare come fare per mettere un bel pò di soldi al sicuro per il futuro. Lui ormai è diventato un professionista nell’osservare gli uccelli notturni.»
A quella battuta il farmacista reagì arrossendo, mentre Teodora gioì selvaggiamente.
«Vi devo dire io certe cose? La testa la portate come zavorra per mantenere l’equilibrio quando camminate?»
«Che cosa possiamo fare?» domandò il medico, mentre il farmacista rimase in silenzio ad ascoltare quanto avesse tirato fuori il nipote del prete.
«Niente di più facile. Vi mettete d’accordo sul quantum e il medico inizia a fare un bel pò di ricette prescrivendo una sfilza dei più costosi medicinali. Così facendo il farmacista introita quello che non ha mai comprato.»
«Bravissimo! E se un giorno mi vanno a fare un controllo sul patrimonio, gli racconto della truffa?» rispose stizzito il farmacista.
«Certamente devi prendere le dovute precauzioni.»
«I soldi li nascondo dentro il muro?»
A quelle parole intervenne il geologo, dicendo: «Non deve murare un bel niente. Ti devi solo preoccupare di aprire un conto in una delle tante banche Svizzere e un paio di volte l’anno andare a versare il denaro dell’evasione».
Il suggerimento del geologo, fornì l’idea a Marco di come rendere moneta corrente il denaro nascosto sotto la cuccia di Argo; doveva trovare il modo di depositare il denaro in una banca di Lugano. Marco prestò attenzione ai vari passaggi dei discorsi dei quattro. A quel punto doveva andare a incontrare Osvaldo per avere i giusti ragguagli. Solo che gli era sorto un dubbio: come avrebbe fatto a giustificare il deposito all’estero? Lui non era né farmacista né medico.
Con quale ragionamento avrebbe potuto ingannare Osvaldo senza far nascere dei sospetti? Marco rifletté a lungo, quello era un aspetto fondamentale per la buona riuscita del suo intento di depositare i seicento milioni del furto all’ufficio postale. Entrare nel discorso, a così poco tempo dal furto all’ufficio postale, era come attaccarsi una corda al collo e lasciarsi cadere nel vuoto, sperando di non rimanere impiccato. L’unica idea che gli passò per la testa fu di manifestare preoccupazioni per un eventuale sopravvento del partito comunista; una tale evenienza avrebbe messo a rischio i suoi sudati risparmi. I lavori che gli erano stati commissionati come ditta, calzavano a pennello. A Osvaldo, per legittimare la sua richiesta, doveva dire che nel momento in cui prendeva gli acconti, il cinquanta per cento era sua intenzione metterlo al sicuro in Svizzera. Quale migliore occasione poteva presentarsi? Era una scusa apparentemente perfetta, non avrebbe dovuto generare alcun dubbio. L’unica incertezza di Marco era se Osvaldo l’avrebbe bevuta…
La tesi sostenuta da Osvaldo rappresentava per Marco, al momento, l’unica via percorribile. Marco istintivamente prese a strofinarsi le mani, rimanendo inchiodato alla sedia come se fosse attratto dal suono del piffero magico. Restò a lungo ad ascoltare quanto gli amici del tavolino a fianco dicessero.
All’improvviso il dubbio s’insinuò deciso in lui. Così come i refoli di vento agitano la chioma degli alberi, i dubbi agitavano i pensieri di Marco.
Importante la storia di Mario, grande lo storiografo Francesco Strangio