Impiego di beni culturali provenienti da delitto
La tutela penale dei beni culturali
Di Francesco Donato Iacopino, Emanuele Procopio, Giovanni Passalacqua ed Enzo Nobile
La fattispecie delittuosa dell’impiego di beni culturali provenienti da delitto è disciplinata dall’articolo 518 quinquies del Codice Penale, che testualmente così recita:
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 518 quater e 518 sexies, impiega in attività economiche o finanziarie beni culturali provenienti da delitto è punito con la reclusione da cinque a tredici anni e con la multa da 6.000 a 30.000 euro.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui i beni culturali provengono non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manca una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.
Il legislatore, nel codificare la figura delittuosa di impiego in attività economiche o finanziarie dei beni culturali provenienti da delitto, ha inteso rafforzare gli strumenti di contrasto alla diffusione e immissione nel circuito economico o finanziario di detti beni di illecita provenienza, per tutte quelle ipotesi in cui non si versa nel concorso nel reato presupposto e non si integra una delle due fattispecie delittuose previste dagli art. 518 quater e 518 sexies.
Quindi tale norma racchiude tutte quelle condotte che, fuori dalle ipotesi del concorso nel reato presupposto e di quelle chenon integrano una delle due fattispecie delittuose previste dagli articoli 518 quater e 518 sexies, ovvero il reato di ricettazione o di riciclaggio di beni culturali, si risolvono nell’immissione di beni culturali nel mercato dei proventi di origine delittuosa.
Pertanto, la condotta materiale è individuabile nell’impiego, concepito dal legislatore in termini generici, in attività economiche (o di scambio) e finanziarie di beni culturali.
La dottrina, onde scongiurare il rischio che vengano ricompresi in questa fattispecie delittuosa anche fatti di minima rilevanza offensiva, ha inteso attribuire al termine impiego un significato più restrittivo coincidente con il termine investire, ovvero impiegare al fine di un utile.
Anche tale fattispecie delittuosa è da considerarsi di un reato comune di mera condotta posto che il legislatore, sempre a mezzo l’utilizzo del pronome chi, ha inteso riferire la condotta a tutte le categorie di soggetti come possibili autori del reato la quale si realizza in virtù dell’acquisto, della ricezione dell’occultamento di beni culturali provenienti da delitto.
Il bene giuridico tutelato è da individuarsi nella genuinità del libero mercato da qualunque forma di inquinamento proveniente dall’utilizzo di beni culturali di provenienza illecita.
L’elemento soggettivo è rappresentato dal dolo generico in quanto la norma richiede la consapevolezza circa la provenienza delittuosa dei beni culturali e la coscienza e volontà di impiegare i medesimi in attività economiche e finanziarie.
Tale norma, complementare ai reati di ricettazione e riciclaggio di beni culturali, concepita sul medesimo presupposto delle due norme precedenti, costituito dalla provenienza delittuosa del bene culturale di cui l’agente è venuto a disporre, all’apparenza potrebbe suscitare dei dubbi in merito alla sua applicazione pratica atteso che non è di immediata percezione ipotizzare come l’impiego di un bene culturale proveniente da delitto possa escludere la sussistenza del reato di ricettazione o di riciclaggio di beni culturali.
Però, in termini strettamente giuridici, è sufficiente porre a confronto gli elementi costitutivi (oggettivo e soggettivo) del reato in esame con quelli del reato di ricettazione e riciclaggio di beni culturali per avvedersi che tale fattispecie delittuosa può trovare la sua pratica esistenza in quanto si pone in un rapporto di specialità alle due norme precedenti.
Continua…
Tratto da La tutela penale dei beni culturali, Key Editore