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Il film “Figli del Minotauro” incanta il pubblico del Rhegion Film Festival

Riceviamo e pubblichiamo

Dall’Ufficio Stampa

Grande successo di critica e di pubblico, grandi apprezzamenti per il regista Eugenio Attanasio  dopo la proiezione del film Figli del Minotauro al Rhegion Film Festival, al Museo Nazionale di Reggio Calabria. Lunghi applausi per il regista catanzarese, nella sala attigua ai Bronzi gremita di pubblico qualificato e di tutti i protagonisti del Rhegion Film Festival, fra cui il sindaco Giuseppe Falcomatà. Il presidente del circolo del cinema Cesare Zavattini Tonino De Pace, critico cinematografico, ha colloquiato sul palco del Premio con Eugenio Attanasio a proiezione conclusa.
Nel film hai messo dentro tanti elementi che vanno dall’ecologia alla mitologia dei rapporti alla musica, alle sonorità e agli scenari straordinari e poi all’apparato fotografico assolutamente non trascurabile perché è ricchissimo ed è notevolmente carico anche di emozioni.
Intanto ci fa molto piacere essere qui, perché questa è una delle sedi alle quali abbiamo pensato che si potesse proiettare questo film, Il Museo Nazionale è un luogo ideale, perché è un luogo che raccoglie la storia come il film che raccoglie degli spunti su quello che è la storia e la protostoria della Calabria. Qualcuno l’ha definita una mitopoiesi, cioè la costruzione di un mito sulla figura degli allevatori transumanti. Come dicevi, noi calabresi non siamo marinari, ed è vero perché il calabrese è transumante per tradizione, perché si sposta sempre dal mare alla montagna e dalla montagna al mare, e quindi parlare di transumanza è anche un po’ parlare di uno spirito, di un’identità profonda della Calabria. In questo possiamo dire di essere dei grandi privilegiati. Il film racconta in realtà gli uomini che seguono gli animali sin dalla notte dei tempi, da un periodo protostorico, poi arrivano a un periodo storico con la domesticazione e continuano a seguirli oggi.
Un’altra cosa che mi sembra che emerga decisamente dal film è la collaborazione che tu hai avuto dagli allevatori, nel senso che c’era un’atmosfera molto famigliare, non filtrata quasi dalla macchina da presa e questo è una cosa che si percepisce.
Devo dire che le risposte che dava Salvatore non erano preparate. Noi non abbiamo voluto utilizzare la voce fuori campo come scelta di racconto, ho utilizzato invece le didascalie: è una forma primordiale di commento cinematografico. Poi abbiamo lasciato spazio all’allevatore che si racconta, che racconta il suo mondo. Nel cinema creare un rapporto non è facile, però ho avuto la fortuna di avere a disposizione invece un personaggio come Salvatore, l’allevatore per passione e necessità era una figura straordinariamente cinematografica, un Ulisside con questa barba, come nell’Odiessa di Franco Rossi. Avevo bisogno di un personaggio così e, infatti, quando lo abbiamo proiettato insieme, gli allevatori tutti hanno detto che per una volta non sono stati ritratti brutti, sporchi e cattivi. E poi ha avuto lui, che ha avuto anche la sincerità di mettersi a nudo nel raccontare se stesso. Le risposte non sono concordate, ma alle domande lui risponde in maniera spontanea.
Quanto tempo ci è voluto per realizzare il film?
La lavorazione ha subito in realtà una grossa interruzione per il periodo del Covid-19, perché abbiamo iniziato a girare nel 2018 con una prima transumanza. Sono state necessarie riprese per tre anni di transumanza per avere un certo tipo di materiale e, nel 2020, ci siamo bloccati. Quindi, per tenere in vita il progetto, ci siamo inventati una mostra e una pubblicazione, che sono usciti prima del film e poi, nel 2022, siamo riusciti a terminare il montaggio. Quella che vedete nelle ultime scene con gli animali nella neve, in realtà, è stata la prima scena che abbiamo girato. Possiamo dire che abbiamo cominciato dalla fine, perché spesso nel cinema funziona così, non si sa qual è l’inizio e qual è la fine, è un lavoro che è nato molto nel montaggio, perché la regia di un lavoro del genere è una linea di confine tra cinema e documentario, si esprime molto nel montaggio.

Nel cast figurano Mattia Isaac Renda, Francesco Stanizzi, Gianluca Cortese, Salvatore Gullì, Alessandra Macchioni, Franco Primiero; Antonio Renda per la parte fotografica e Nicola Carvello per la cinematografia del documentario; i costumi sono di Stefania Frustaci. A sostegno e promozione del film, ma anche del libro sulla transumanza, patrimonio Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, si è formato un gruppo di sostenitori, figli del Minotauro appunto, composto fra gli altri da Salvatore Tozzo, Domenico Levato, Giuseppe Gallucci, Elisabetta Grande, Elia Panzarella e Stanizzi.

Redazione

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