Di Francesco Donato Iacopino, Emanuele Procopio, Giovanni Passalacqua ed Enzo Nobile
La fattispecie delittuosa della ricettazione di beni culturali è disciplinata dall’articolo 518-quater del Codice Penale, che testualmente così recita:
Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta beni culturali provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e con la multa da 1.032 a 15.000 €.
La pena è aumentata quando il fatto riguarda beni culturali provenienti dai delitti di rapina aggravata ai sensi dell’art. 628, terzo comma, e di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 629, secondo c.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui i beni culturali provengono non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manca una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.
Anche il delitto di ricettazione di beni culturali, alla stessa stregua dei precedenti delitti di furto e appropriazione indebita di beni culturali, è da considerarsi di un reato comune di mera condotta posto che il legislatore, sempre a mezzo l’utilizzo del pronome chi, ha inteso riferire la condotta a tutte le categorie di soggetti come possibili autori del reato che si realizza in virtù dell’acquisto, della ricezione dell’occultamento di beni culturali provenienti da delitto.
Quindi la condotta materiale è costituita dall’acquistare, ricevere od occultare beni culturali provenienti da delitto o nell’intromettersi per farli acquistare.
Ciò, ovviamente, comporta che non integrano tale fattispecie delittuosa l’acquisizione, la ricezione o l’occultamento di qualsiasi bene, ma tale fattispecie delittuosa è integrata dalla provenienza delittuosa del bene.
Ovviamente la prova del delitto presupposto non deve necessariamente derivare da una sentenza passata in giudicato, ma è sufficiente che tale elemento risulti con certezza dagli atti del processo.
Come pure non risulta necessario per l’integrazione del reato di ricettazione dei beni culturali l’individuazione del soggetto autore del reato presupposto.
E, altresì, ai fini dell’integrazione del reato di ricettazione di beni culturali, è irrilevante che la ricezione del bene culturale di provenienza delittuosa avvenga a titolo temporaneo o definitivo come, pure, è irrilevante che l’acquisizione del bene che entra a far parte della sfera giuridica del soggetto attivo del reato sia avvenuta a titolo oneroso o a titolo gratuito.
Il termine ricezione utilizzato dal legislatore ai fini della qualificazione giuridica della condotta materiale, infatti, è molto ampio e racchiude in sé qualsiasi forma di possesso di beni culturali provenienti da reato anche a solo titolo temporaneo.
Quindi la condotta materiale della ricezione è comprensiva di qualsiasi conseguimento di possesso del bene culturale proveniente da reato e di conseguenza vi rientra anche il possesso a mero titolo di compiacenza.
L’opera di intromissione, essendo il reato de quo a forma libera, può avvenire con qualsiasi modalità e non solamente a mezzo l’attività di vera e propria mediazione civilisticamente intesa.
In sostanza è sufficiente che il mediatore si adoperi in modo univoco per fare acquistare il bene non essendo necessario che metta in rapporto diretto le due parti, né che egli acquista o riceva in possesso il bene di provenienza delittuosa.
Ciò comporta che in questo caso non è configurabile il tentativo considerato che il reato si consuma mediante il primo atto di univoca e idonea intromissione in quanto l’espressione utilizzata dal legislatore “nel farli acquistare, ricevere od occultare” sta a indicare soltanto il proposito dell’intermediatore e non il momento consumativo dell’attività criminosa sempre che al momento dell’attività di intermediazione l’agente abbia la consapevolezza dell’illiceità del possesso dell’offerente la cui prova può essere desunta da fatti concludenti precedenti, contestuali e successivi.
L’elemento psicologico del reato è rappresentato dal dolo specifico in quanto, oltre alla volontà dell’autore di venire in possesso del bene, di cui deve avere la consapevolezza della provenienza delittuosa, deve procedere all’acquisizione del bene con l’evidente scopo di trarre un profitto ingiusto.
La fattispecie delittuosa in esame prevede una circostanza aggravante comune quando il fatto riguarda beni culturali provenienti dai delitti di rapina aggravata ai sensi dell’art. 628, terzo c. del CP e di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 629, secondo c. del CP, atteso che il legislatore nel prevederla si è limitato ad affermare che la pena è aumentata.
Tratto da La tutela penale dei beni culturali, Key Editore