L’onore di Locri e il peso della legge: il dibattito tra passione e giustizia
La Repubblica dei locresi di Epizefiri
Di Giuseppe Pellegrino
«Poche poleis come Locri hanno costumi morigerati e dimessi. Donne di facili costumi se ne vedono poche che, rispettando le leggi locresi, ingioiellate e con vesti di porpora, fuori le mura cercano la vita. Ma io non vi parlo di donne di malaffare, io vi parlo dell’amore che ha travolto un uomo e una donna senza il tempo o la possibilità di sciogliere il desco comune, protetti dal favore di Afrodite. Non credo di provocare oltraggio a un uomo al quale mi univano convinzioni comuni e amicizia, ma Ilone non era uomo adeguato a Euridice. Dice il Facitore di Luce, che è cosa giusta e non oltraggia la pudicizia delle donne, che al pari degli uomini hanno sentimenti complessi, il desiderio di conoscere altri uomini. Ma la nostra legge vieta quello che noi chiamiamo adulterio ed è amore. Euridice ha pagato con la vita il rispetto delle leggi. Se io ho una grande colpa è quella di avere amato colei che più di ogni altra donna riempiva la mia testa, i miei pensieri, i miei giorni. Se questa colpa non è sotto l’egida di Afrodite, ma sotto l’impudicizia sanzionata dalle leggi di Zaleuco, a voi il giudizio. Io ne subirò le conseguenze. Ma domando a voi, che siete i custodi delle leggi, che senso ha accecare un adultero, quando noi ogni anno a ogni primavera prostituiamo le nostre donne vergini, per pagare un tributo a una colpa che nessuno di noi ha mai commesso?»
Tirso così finì il suo discorso, deludendo chi si aspettava il duello diretto con Zaleuco con un attacco veemente e pieno di invettive, come era nel suo stile, invece di un ragionamento equilibrato e accorato. A volte, anche giusto. Ma Tirso sembrava ora un uomo acquietato, senza desideri né obiettivi. Egli, invero, era terrorizzato dalla cecità, ma non aveva paura della morte. La cosa lasciò perplesso Zaleuco. E tuttavia, il Legislatore pensò che il suo compito andava oltre le persone, ma era finalizzato alla Polis. Perciò non fece grandi sconti al giovane. Era con la mente assente quando una voce gli disse:
«Tocca a te Zaleuco» era la voce di Agesidamo.
Zaleuco si alzò molto lentamente dallo scranno. Volutamente rivolto verso il popolo mise la mano alla benda che copriva l’occhio sinistro e poi lentamente accarezzò il cappio che aveva al collo. Sapeva che i Locresi avrebbero capito. Ricordava così ai cittadini che non aveva privilegiato nessuno, neppure suo figlio. Sempre rivolto verso il popolo, il Pastore cominciò:
«Locresi, voi ricordate la vergogna di Aiace Oileo e l’oltraggio a Cassandra. Per quell’oltraggio i locresi hanno sempre pagato un grande tributo per acquietare la Dea Minerva offesa. Voi sapete che se ogni anno prostituiamo le nostre figlie alla Festa della Sacra Prostituzione, ciò facciamo per riparare alla vergogna delle nostre madri che ci ha costretto a fuggire dalla madre patria. Voi sapete che tutti noi siamo figli di schiavi e di servi. Voi sapete che abbiamo abolito la schiavitù perché i figli degli schiavi e dei servi possono essere solo schiavi e servi. Voi sapete la nostra nobiltà è stata salvata da chi poteva per discendenza imporre il nome ai figli. Ma questo non poteva bastare. Occorreva che agli occhi degli Dei, che i locresi dessero prova che un errore commesso non sarebbe stato giammai ripetuto. Costumi morigerati fanno un popolo. Una vita parca e senza lussi, fortifica gli animi. Così abbiamo fatto. Dalle madri, dalla Donne delle Cento Case, abbiamo ricevuto il nome, per ricordare agli Dei che noi discendevamo da stirpe divina e oggi, siamo un popolo rispettato e temuto. Non è molto il tempo che è passato, per cui occorre adeguare le nostre leggi. Un popolo, una polis, sono riconoscibili dagli altri popoli dai costumi che hanno e che tutti ricordano ed è troppo vicina la vergogna per non ricordare che il tradimento delle moglie, che avevano i mariti in guerra da lungo tempo, generò figli di servi e di schiavi che costrinse i locresi a fuggire nottetempo e di fretta dalla amata Locri, patria di Oileo, guidati da una donna e da un capitano. Voi ricordate i racconti dei vostri padri sulla paura di essere raggiunti e trucidati, perché figli bastardi di donne adultere. Vi hanno raccontato della sete, della fame, della fatica che uomini e donne sopportavano sulle navi, e che cercavano una terra dove nessun greco ci fosse prima stato, dove nessuno sapesse chi eravamo e da dove venivamo. E oggi, se abbiamo l’orgoglio di dire che siamo locresi, e di Epizefiri, e che gli Spartani si sentono onorati di combattere al nostro fianco, oggi che nessuno osa ricordare le nostre origini, ebbene, tutto questo lo dobbiamo alle nostre leggi. Niente è eterno, neppure le leggi dettate da Minerva. Ma la nostra è una Polis nata da poco e poco basta per far rinnovare l’antica vergogna. Dobbiamo rispettare le nostre leggi approvate e permanenti. Se ciascuno di noi penserà di poter acconciare una legge a ogni sua esigenza, nessuna legge sarà abbastanza duratura da poter garantire l’ordine delle cose. Nessuna legge, che non sia duratura, sarà ricordata fuori dalla polis da stranieri ammirati che grideranno al passaggio di un locrese: “Solo a Locri la legge è certa”. Nessuna legge formerà il carattere dei giovani, alla cui vita la patria deve garantire certezze.»