Il nuovo inizio di Rocco: dall’uscita dal coma al giorno delle nozze
Storie d’altri tempi
Di Francesco Cesare Strangio
Al bar Primavera c’era, al solito posto, il compagno usciere che, nell’apprendere dell’uscita dal coma di Rocco, pretese di pagare da bere a tutti i presenti. Nicoletta rimase perplessa per il gesto di civiltà dell’usciere; tutti i presenti si accodarono al compagno e offrirono un giro di birra. La stessa cosa avvenne nel bar Carducci e in quello dei Tagliaferro.
Quindici giorni dopo l’uscita dal coma, Rocco rientrò a casa con la gamba e l’avambraccio ingessati.
Durante il pranzo espresse allo zio il desiderio di partecipare alla messa pomeridiana. Puntualmente, all’ora di messa, Rocco si presentò in chiesa.
Don Angelo, nel vedere Rocco seduto al primo banco, rimase incredulo: quell’evento sfatò nel parroco l’idea che Rocco fosse un selvaggio destinato alla perdizione eterna.
Durante la celebrazione della messa, don Angelo non perse occasione di elogiare Rocco.
A messa finita, il parroco si avvicinò a Rocco e lo salutò con calore e aggiunse: «Il Signore ti ha graziato ridandoti la vita. Sono convinto che farai tesoro della grazia ricevuta.»
Detto ciò, don Angelo guadagnò la sacrestia. Usciti dalla chiesa, Marco propose all’amico convalescente di fare un giro al bar Primavera e poi al Carducci per salutare gli amici. La proposta di Marco piacque molto a Rocco. Fatto salire in macchina, partì verso il primo bar che distava quasi duecento metri dal luogo di culto.
Rocco fu accolto con lo spirito che contraddistingue gli uomini civili.
La stessa Nicoletta lo abbracciò augurandogli una pronta guarigione e buona fortuna, anche se la dea bendata si era dimostrata dalla sua parte in concomitanza dell’incidente.
Altrettanto calore gli fu riservato al bar Carducci.
I giorni passarono con il ritmo di sempre. Rocco, dopo l’uscita del coma, era completamente trasformato: non sembrava più il ragazzo di una volta; aveva perso quel modo deplorevole di relazionarsi con gli altri: era divenuto un uomo nuovo, pieno di consapevolezza e di responsabilità.
Poco tempo dopo fu ufficializzato il fidanzamento di Rocco e Patrizia. Ai festeggiamenti, parteciparono i parenti e tutti gli amici, nessuno escluso.
Erano passati sei mesi da quando avevano festeggiato il fidanzamento e finalmente arrivò il giorno del matrimonio.
La domenica della celebrazione del matrimonio, il sole splendeva che era una meraviglia. Tra gli invitati c’erano il Medico dell’ospedale e l’infermiere dal mento aggressivo e dagli occhi grigi penetranti. Rocco aspettava con amici e parenti davanti al portone della chiesa in attesa che arrivasse la sposa. Una macchina bianca, con altre a seguito, adornata con strisce di tessuto candido e con tante rose attaccate, parcheggiò a pochi metri dal portone della chiesa dove c’era Rocco ad aspettare con i suoi invitati.
Dall’auto scesero per primi il padre e la madre; poco dopo scese la figlia Patrizia avvolta in un candido abito bianco. La testa della sposa era cinta da un lungo velo retto da quattro bambini.
Un lungo applauso accolse la sposa accompagnata sottobraccio dal padre, mentre don Angelo, davanti all’altare, attendeva impaziente.
Finita la celebrazione del matrimonio e dopo le foto di rito, andarono tutti a festeggiare alla sala ricevimenti in via Sant’Ottavio.
Era passato un pò di tempo da quando fu celebrata l’unione di Rocco e Patrizia, la vita per i compaesani trascorreva con usuale normalità.
Era una domenica mattina, al bar Primavera Mario arrivò per ultimo poiché la messa si era protratta fino alle undici per via della celebrazione di un matrimonio.
Al solito tavolino c’erano il farmacista, il dottore e Osvaldo con la sua donna.
Nel salottino Teodora stava consumando il solito cappuccino con la brioche al cioccolato. Nel vedere entrare Mario, lo sguardo le divenne truce: quella notte l’uomo aveva disatteso l’appuntamento.
Nicoletta osservava, con discrezione, i movimenti dei due.
Il farmacista e gli altri, nel vederlo entrare, esultarono.
Il farmacista, come sempre, se ne uscì con la solita battuta: «Questa notte, il gufo non si è fatto vedere per niente. Pensate, verso la seconda ora di tutte le notti è solito turbare la quiete del vicoletto per poi rifarsi vivo un’altra volta verso le quattro.»
La battuta del farmacista, apparentemente priva di significato, fece impallidire Mario, che ingoiò il rospo e fece finta di niente.
Il dottore, non sapendo, disse: «Se tutte le notti ti rompe le scatole, appostati e tiragli una schioppettata.»
«Che non si dica mai una cosa del genere… ormai siamo vecchi amici. Pensate, questa notte non vedendolo appollaiato sulla gronda del palazzo di Mario, mi sono così dispiaciuto che non ho più ripreso sonno.»
Teodora, dal salottino, prestava orecchio al discorso al vetriolo del farmacista e del medico; la cosa che non riusciva a capire era come faceva il farmacista a sapere di lei e di Mario. La curiosità dominava la mente di Teodora che, sopraffatta dal dubbio, non vedova l’ora di incontrare l’amante per capire come stavano realmente le cose.