Il confronto tra Zaleuco e Tirso: una sfida tra tradizione e innovazione a Locri
La Repubblica dei locresi di Epizefiri
Di Giuseppe Pellegrino
«Questa è una colpa, a Locri. Questa è una colpa per il seguace di Licurgo. A Sparta, che tutti noi amiamo e a cui costumi improntiamo i nostri comportamenti, tu che dici di chiamarti colui che è colpito dai raggi del sole, pari di Licurgo, tu sai bene non vi è legge per l’adulterio. A Sparta, una donna che ha un marito non adeguato può, in modo discreto, amare altro uomo senza incorrere nella collera di nessuno. La tua legislazione è vecchia, Zaleuco, come vecchio il tuo modo di pensare. Al di là del mare, un nuovo modo di commerciare e di avere contatti con gli altri popoli sta rendendo ricchi tutti. Tu solo sei ancorato ai tuoi vecchi pregiudizi. Tu solo ignori il nuovo mondo. Tu solo non riesci a capire l’immensa ricchezza che gli Dei hanno dato a Locri, che ha un grande destino se sarà guidata da uomini non pavidi e riottosi al nuovo.»
Poi nella sua foga oratoria, Tirso si rivolse al popolo. Meglio, si rivolse ai Klèroi, i Mille che componevano il Consiglio che erano tutti presenti. L’avvenimento non era di quelli che potevano essere ignorati. «Voi rappresentate gli Aristoi, gli aristocratici, i migliori di Locri. A voi è stato dato il potere di approvare le leggi. Nessun ideatore di leggi – continuò con disprezzo – può imporre il suo dettato se voi non lo approvate. Se avere amato Euridice è stata una colpa o un dono di Afrodite, a voi tocca stabilirlo. Io chiedo a voi di cambiare una legge che rende un uomo inutile e un peso per la polis, piuttosto che sopprimerlo, e portare a Locri la saggezza di Licurgo. A voi chiedo di cambiare una legge dannosa» concluse Tirso.
Ora Zaleuco aveva capito il pensiero di Tirso. La lotta diveniva diretta. Zaleuco non poteva tirarsi indietro. Ma, invero, non aveva voglia di tirarsi indietro. Se la sua legislazione era superata, era giusto che i Kiloi la cambiassero, come era giusto difendere le sue ragioni. Perciò, rivolto a Tirso, solennemente disse: «Conosci le regole Tirso e a esse ci dobbiamo attenere. Agesidamo convocherà la Damos, e io e te ci presenteremo nella stessa condizione umana. Una corda al collo ci farà uguali. Ma uno di noi due non sarà nel giusto e, alla fine del Consiglio, pagherà il fio dei suoi errori.»
A nessuno sfuggì la drammaticità del momento. Neppure a Gorgia, che aveva assistito al duplice oltraggio al fratello. Quello dell’adulterio di Tirso ed Euridice in danno del fratello; quello di Tirso che metteva in ridicolo Ilone. La voglia di aggredire Tirso durante il giudizio fu grande. Le mani non potevano bastare, occorreva un’arma. Ma a Locri era proibita e poi la fine di Tissaferne non lasciava dubbi su come Zaleuco applicasse la legge. Meglio calmarsi. Meglio lasciare al legislatore locrese la vendetta, che comunque sarebbe arrivata. Furioso, Gorgia voleva tornare a casa, ma aspettò perché voleva parlare con Zaleuco, dato che la beffa a Ilone era grande. Tradito, oltraggiato e depauperato dei suoi beni, che sarebbero finiti a un vecchio puttaniere come Dorimaco. Così il padre di Euridice avrebbe continuato la sua vita lussuriosa, mentre un piccolo ragazzo, che era suo figlio, nulla aveva. Mentre lui così pensava, Agesidamo si consultava con i Klèroi. Poi si mise in evidenza alzando la mano e fece cenno al popolo di tacere e disse: «Mi sono consultato con gli Aristoi e siamo venuti alla conclusione che fra due giorni ciascuno dei contendenti potrà illustrare la sua proposta. Tirso potrà presentare il nuovo dettato e Zaleuco, se lo vorrà, potrà difendere la sua legislazione. Ricordo a Tirso e anche a Zaleuco che ognuno dovrà presentarsi con un robusto laccio al collo e di buona lunghezza. Nell’Agorà verra impiantata una forca e, alla decisione del Consiglio dei Mille, chi non sarà nel giusto verrà immediatamente impiccato. Così dice la legge a Locri ed è così che il consiglio intende procedere.»
Così, finì come un pedante scrivano colui che presiedeva il Consiglio dei Mille. La gente capì che lo spettacolo era finito e si apprestò ad andarsene. Era tardi, è vero, ma nessuno aveva sentito i morsi della fame. L’avvenimento era di quelli da raccontare ai figli e ai figli dei figli. […]
Il racconto prosegue con l’incontro tra Zaleuco e Gorgia, fratello di Ilone, sposo di Euridice, che era diventata amante di Tirso. La donna muore nel tentativo di abortire. Zaleuco invita Gorgia a portarsi a Siracusa il figlio di Ilone (che porta il nome del padre) approfittando della ricchezza che l’uomo ha lasciato. Finito il dialogo, Zaleuco torna a casa a dormire.
Passò la notte e venne il giorno. Zaleuco quella mattina era indeciso se uscire o meno. Forse era meglio aspettare a casa il giorno del giudizio. Poi pensò che la sua assenza sarebbe stata giudicata dai concittadini come paura, o, perlomeno, come perplessità sulla giustezza delle sue leggi. Andò all’Agorà e passeggiò sotto una delle Stoà, andò al mercato che era lì vicino, e con tutti scambiò parole e commenti e tutti risposero inchinati al Magistrato. Ma i colloqui erano fugaci. Le persone sembravano aver fretta di chiudere il discorso. Capì Zaleuco che una grande incertezza si stava impossessando dei cittadini. Il timore che le idee di Tirso, più che le sue azioni, avrebbero portato nocumento a Locri, si fece certezza.