Costume e SocietàLetteratura

Attesa, solidarietà e mistero: la comunità unita per Rocco

Storie d’altri tempi

Di Francesco Cesare Strangio

Puntualmente, alle 10:30 aprirono la porta del reparto.
Mastro Filippo era seduto in fondo al corridoio. Alla sua destra un’ampia finestra dava sul balcone il cui panorama rapiva la vista, riservando all’osservatore la stupenda visione del mare.
Mastro Filippo, nel vedere i quattro apprendisti, si alzò e andò loro incontro.
«Non era il caso che veniste. Rocco è ancora in coma; per il resto il quadro clinico è stazionario.»«I medici che dicono?» chiese Marco.
«Niente! La sola cosa da fare è aspettare. Speriamo bene!»
Mentre stavano parlando delle condizioni di Rocco, mastro Filippo mise le mani in tasca e tirò fuori il portafoglio, da cui prelevò 10.000 ₤: «Fatemi la gentilezza di andare a prendere una bottiglia d’acqua, un caffè e un panino con la provola; è da ieri a mezzogiorno che non metto niente nello stomaco.»
«Le dispiace se faccio io?» domandò Cosimo.
«Niente affatto, sono io il titolare dell’impresa.»
Con fare indeciso, Cosimo allungò la mano, prelevò il denaro e partì per recarsi al piano seminterrato dove c’era il bar.
Durante il tempo trascorso tra l’andata e il ritorno dal bar, il pensiero di Marco andò a ritroso fino a fermarsi al primo verso di una poesia che il nonno recitava ogni qual volta che era giù di corda.
L’eco delle parole del verso della poesia, dapprima lontano e indistinto, divenne nitido come se fosse a pochi passi, vanificando la distanza che separa il presente dal passato.
Quel ginepraio di pensieri portò Marco a credere che il mal capitato non avrebbe più ripreso conoscenza.
I due portarono quanto aveva chiesto mastro Filippo con l’aggiunta di una bottiglia di coca cola. Mastro Filippo lì guardò e annuì, consapevole che la bibita l’avevano portata per Rocco, poiché sapevano che ne era ghiotto. Il gesto commosse il maestro muratore.
Marco guardò l’orologio e fece cenno agli altri che era arrivata l’ora di rientrare.
Dopo aver salutato l’ammalato dalla parete di vetro, presero commiato da mastro Filippo e fecero rientro al paese.
Prima di recarsi al cantiere, passarono dalla nonna di Rocco e con prontezza d’animo la rasserenarono sullo stato di salute del nipote.
Il gruppo, dopo essere stato al cantiere, si recò al bar dei Tagliaferro.
La signora, come sempre, stava dietro al bancone intenta a servire i clienti; nel vederli, la prima cosa che fece fu di chiedere di Rocco.
I giovani le illustrarono tutto e poi chiesero di Domenico.
La signora rispose: «Si stanno preparando per andare all’ospedale.»
Durante il periodo di ricovero di Rocco, tutte le sere, Domenico Tagliaferro e la figlia Patrizia, si recavano in visita all’ospedale. I parenti di Rocco ebbero la solidarietà dell’intera cittadinanza, tanto che nei loro confronti l’affetto, crebbe a dismisura. Persino Enzo e gli altri neofascisti del paese, ogni due giorni, andavano all’ospedale per avere notizie di prima mano direttamente dal primario, anch’egli d’ideologia fascista.
Era solito che i Tagliaferro, tutte le mattine, prendessero la Gazzetta del Sud e dopo averle dato uno sguardo, la lasciavano a disposizione degli avventori. Mentre ragionavano sullo stato clinico di Rocco, lo sguardo di Salvatore andò sul quotidiano poggiato sul tavolino vicino alla finestra. Chiese scusa ai presenti e andò a dare un’occhiata. Sulla prima pagina c’era la foto dell’uomo che aveva visto segregato nella grotta tre notti prima. Aveva la barba lunga, gli stessi occhi che con difficoltà, sotto i riflessi della luce della torcia, lo scrutavano. Per un attimo Salvatore ebbe la sensazione che quegli occhi lo scrutassero ancora.
Dopo un primo naturale momento di sbigottimento, chiamò Marco che, vedendolo guardare il giornale, capì di cosa si trattasse.
L’articolo riportava che Furio era stato liberato a venti chilometri dal cascinale, in mezzo a un bosco. Nelle dichiarazioni rilasciate dal mal capitato, non vi era alcun riferimento all’incontro avuto con il giovane che gli aveva promesso di aiutarlo.
Patrizia varcò la porta del bar, i suoi occhi tradivano la sofferenza che si portava dentro per lo stato di salute di Rocco. Dopo aver salutato i presenti, scomparve dietro la porta da cui era entrata.
Salvatore e gli altri, volutamente, fecero compagnia alla madre di Patrizia fino a quando padre e figlia non fecero ritorno dall’ospedale.
Appena videro i due, gli chiesero di Rocco.
La Ragazza rispose: «È ancora in coma; per il resto gli hanno applicato i tiranti alla gamba rotta.»
Esaurito l’argomento, il gruppo prese commiato.
La mattina seguente, come sempre, si ritrovarono al bar prima di recarsi al cantiere.
Il cielo era terso e con il passare delle ore il caldo si fece sentire. Per via del calore, ancor più per la mancanza della guida di zio e nipote, il lavoro arrancava. Ognuno dava il massimo di sé, arrabattandosi come poteva.
Verso la sedicesima ora, il cielo da terso divenne plumbeo: un fronte temporalesco, incagliato da un paio di ore tra le cime delle montagne, fu sganciato dal vento di settentrione, che lo spinse verso sud.

Redazione

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