Attualità

La difesa dei confini tra splendido mito e agghiacciante realtà

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Fino a qualche settimana fa, quando si citava il concetto di difesa dei confini mi tornavano alla mente episodi di guerra tramandati dai libri di storia e resi celebri dalla letteratura o dal cinema. L’esempio più lampante di difesa dei confini, per me, è sempre stato rappresentato dalla battaglia delle Termopili, quando una piccola forza greca sotto il comando del re spartano Leonida riuscì a fermare l’avanzata dell’immenso esercito persiano per tre giorni, contribuendo alla salvezza della Grecia.
Serse, il sovrano dell’Impero persiano, aveva infatti l’intenzione di vendicare la sconfitta subita dal padre Dario I nella battaglia di Maratona, avvenuta dieci anni prima, e organizzò per questo una spedizione con un esercito che poteva contare tra i 90.000 e i 300.000 uomini. Nonostante molti greci si fossero sottomessi, altrettanti decisero di resistere. Tra loro vi erano i 300 spartani di Leonida, che insieme a circa 7.000 alleati greci si prepararono a difendere il passo delle Termopili, una gola stretta che separava la Tessaglia dalla Grecia centrale.
La conformazione del terreno favorì i greci, che, schierati in una solida falange, riuscirono a resistere ai ripetuti attacchi dell’esercito persiano. Tuttavia, un tradimento rivelò a Serse l’esistenza di un sentiero che permetteva di aggirare la posizione greca. Con l’esercito ormai circondato, Leonida congedò gran parte dei suoi alleati, rimanendo a combattere con i suoi 300 spartani e un gruppo di volontari.
Il sacrificio finale di Leonida e dei suoi uomini divenne simbolo di coraggio e dedizione, rendendoli immortali nella memoria collettiva.
Non dissimile, per citare qualcosa di più attinente al nostro territorio, è il caso della battaglia della Sagra, che vide invece contrapposti gli eserciti di Locri e Crotone, in occasione della quale, nonostante l’inferiorità numerica, i Locresi, sostenuti da Rhegion e le loro colonie Hipponion e Medma, riuscirono a vincere l’esercito crotoniate grazie all’intervento leggendario dei Dioscuri Castore e Polluce. Fonti storiche esagerano probabilmente il numero dei combattenti, ma un’iscrizione votiva parla di un esercito locrese compreso tra 10.000 e 15.000 uomini contro un esercito crotoniate di ben 130.000 unità e resta il fatto che, dopo la battaglia, vennero edificati luoghi di culto in onore dei divini alleati.
Dallo scorso 14 settembre, invece, il concetto di difesa dei confini ha assunto un connotato molto meno leggendario e ben più terreno, con il Vicepresidente del Consiglio dei Ministri Matteo Salvini che ha utilizzato il concetto quale linea di difesa nei confronti dei magistrati palermitani che hanno chiesto per lui sei anni di reclusione nell’ambito del processo Open Arms.
Salvini è infatti accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver impedito lo sbarco di 147 migranti soccorsi dalla nave dell’Organizzazione Non Governativa spagnola nell’agosto 2019. L’accusa sostiene che non tanto il diniego allo sbarco in sé, quanto la sua durata di 20 giorni, che ha seriamente messo in discussione la salvaguardia delle tutele garantite dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, fosse una decisione personale dell’allora Ministro dell’Interno. Salvini, rappresentato dall’avvocato Giulia Bongiorno, ha invece ribadito l’insussistenza dei fatti o, in subordine, la loro insindacabilità in quanto atto d’ufficio di un esponente politico nell’esercizio delle proprie funzioni e, in un video di grande teatralità, ha risposto alla richiesta di condanna dichiarandosi colpevole solo di aver difeso l’Italia e mantenuto le promesse fatte ai cittadini in materia di sicurezza e riduzione degli sbarchi.
«Non patteggio, vado avanti fino in Cassazione», ha affermato il referente della Lega, ribadendo la sua convinzione di aver agito nell’interesse del Paese, trovando pertanto l’appoggio non solo del suo intero partito, ma di una nutrita frangia dell’attuale esecutivo italiano.
Il processo ha avuto naturalmente un’eco mediatica significativa, con testimonianze di figure di spicco come l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio ma, come sempre più spesso accade, l’atmosfera attorno al procedimento si è ulteriormente infiammata dopo che i tre Pubblici Ministeri del caso, Marzia Sabella, Gery Ferrara e Giorgia Righi, sono stati oggetto di una campagna di minacce e insulti sui social media, tanto da richiedere l’intervento del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica per valutare misure di protezione.
E proprio tale ultima evenienza mi dà molto da pensare, perché un rappresentante del governo che alimenta questo stato di cose appellandosi demagogicamente al rispetto delle norme di uno Stato sovrano, salvo poi non intervenire per abbassare i toni e garantire il rispetto di regole così rigidamente seguite nei confronti di chi era stato lasciato in mezzo al mare per difendere i confini, non tiene a mio parere una linea di comportamento limpida.
I magistrati si sono limitati a sottolineare che, proprio secondo il nostro ordinamento democratico, i diritti umani devono prevalere sulla protezione della sovranità dello Stato. Vedremo adesso cosa dirà l’arringa difensiva del 18 ottobre e, soprattutto, cosa sancirà la sentenza di primo grado.

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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