Un misterioso silenzio al cascinale: l’indagine di Marco e Salvatore
Storie d’altri tempi
Di Francesco Cesare Strangio
Domenico e Patrizia salutarono i presenti e si avviarono verso l’uscita.
Mastro Filippo, rivolgendosi ai discepoli, disse: «Marco, Salvatore, pensateci voi a mandare avanti il lavoro. L’incidente non deve metterci con il fondo schiena per terra.»
«State tranquillo, faremo il nostro dovere fino in fondo. Se c’è bisogno, chiamate al bar di Domenico Tagliaferro, così verranno a riferirci.»
I due lasciarono l’ospedale e arrivarono nei pressi di casa che era quasi notte. Data l’ora, Salvatore chiese a Marco di fargli compagnia al cascinale.
Marco rifletté su quanto gli chiese l’amico e disse: «Fammi andare a cenare; ci troviamo davanti a casa tua alle 23.»
«Va benissimo! Ti aspetto alle 23 in punto!»
Appena Marco entrò in casa, i famigliari gli chiesero delle condizioni di Rocco.
Finito di rendergli lumi sullo stato di salute di Rocco, presero tutti posto a tavola. Quella sera la madre aveva preparato delle zucchine ripiene con carne di vitello, formaggio, pane grattato e uova.
Marco ruppe il silenzio, raccontando quanto gli fu detto dal maresciallo dei carabinieri a Rocco.
Nonno Marco si mise a riflettere annuendo, cercava il modo di essere il più chiaro possibile.
Dopo aver finito di mangiare e mandato giù un quarto di vino rosso, iniziò a esporre come la vedeva lui: «Mi risulta che il maresciallo è un cultore della letteratura Russa. Dicendo a Rocco “questo è il ventottesimo duello” si riferiva ad “Aleksandr Sergeevič Puškinche nacque a Mosca il 6 giugno (il 26 maggio secondo l’allora calendario Giuliano) 1799. Il padre, Sergej L’vovič Puškin, era un maggiore in congedo discendente di un’antica famiglia aristocratica russa; la madre, Nadežda Osipovna Gannibal, era figlia di Osip Abramovič Gannibal (un gentiluomo figlio del maggior generale russo di origine abissinaAbram Petrovič Gannibal, a cui Puškin dedicherà l’incompiuto romanzo storicoIl negro di Pietro il Grande, e della seconda consorte Christina Regina Siöberg, una damarussa appartenente a una nobile famiglia scandinava) e di Marija Aleksejevna, una nobildonna russa.
Il letterato si era scontrato a duello ben ventotto volte; al ventinovesimo duello ci rimise la vita in quanto aveva perso la sua calma.
Per quello che mi risulta, il maresciallo odia i Bolscevichi e questo è un vantaggio per Rocco. La questione si chiude qui, solo che il maresciallo, alludendo al ventottesimo duello, ha avvertito Rocco di non reiterare quanto aveva fatto.»«Mi sembra di aver capito che per il maresciallo la cosa si potrebbe chiudere bonariamente?» domandò Marco al nonno.«Certamente devono esistere determinate condizioni. Se l’usciere e il segretario continuano nella loro azione esponendo querela, allora per Rocco e gli altri andrà tutto nelle mani del giudice.»
«Ho capito!» rispose Marco.
Quando il nonno finì di parlare, erano le 21:30; di solito, a quell’ora, il patriarca si metteva a letto e lo stesso facevano gli altri.
Dopo circa un’ora, Marco uscì senza fare rumore, salì sulla bicicletta e prese a pedalare in direzione della casa di Salvatore.
Mancavano venti minuti alle 23; Salvatore era in attesa dietro alla finestra e sbirciava attraverso le fessure delle alette della persiana, attento a controllare quando fosse arrivato Marco.
Appena vide arrivare l’amico, silenzioso come un puma, Salvatore scavalcò la finestra del salone, posta nella posizione più remota rispetto alle camere, e uscì di casa senza farsi scoprire dai famigliari. Una volta fuori, prese la bici e con passo felpato guadagnò la strada che portava verso il cascinale.
Essendo il fondo stradale in terra battuta, al loro passaggio le biciclette sollevavano una leggera polvere che li costringeva a viaggiare in parallelo.
A quasi cinquecento metri dalla meta, si prospettò ai loro occhi l’oscuro profilo del cascinale. Da lì in poi avrebbero dovuto osservare il silenzio più assoluto, onde evitare di palesare la loro presenza.
Nascosero le biciclette nello stesso anfratto in cui, la notte precedente, Salvatore aveva nascosto la sua.
Lentamente, come due volpi del deserto, si avvicinarono al cascinale; non vi era nessun barlume di luce all’interno del manufatto. Salvatore rimase sorpreso, si aspettava di trovare qualcuno di guardia al sequestrato e invece niente.
Mille pensieri gli ronzavano in testa, senza riuscire a darsi una spiegazione a giustificare quel silenzio irreale. Che cosa poteva essere successo? La volta scorsa c’era Peppe l’assassino a sorvegliare la zona e invece quella notte niente: regnava l’assoluto silenzio.
La questione si presentava maledettamente strana.
Fu così che i due, badando bene di parlare sottovoce, pervennero alla conclusione: o che erano capitati a cavallo di due turni, oppure che il soggetto di guardia si fosse allontanato per andare dal sequestrato… Peggio ancora che avessero spostato di zona il mal capitato. Erano tutte ipotesi verosimili.
Con l’intento di pervenire a una conclusione certa, decisero di sottoporre il tutto al vaglio della verifica.