Attesa dolorosa: il dramma di Rocco e la speranza della famiglia
Storie d’altri tempi
Di Francesco Cesare Strangio
«Urge la nostra presenza?»
«La tua e di Patrizia!» rispose la moglie.«Il tempo di cambiarmi e partiamo immediatamente.»
La giovane età di Patrizia le acconsentì a rimettersi in fretta.
Nel frattempo che la ragazza si preparava per andare all’ospedale, Domenico Tagliaferro andò in garage e portò fuori la berlina e la parcheggiò nel cortile. L’auto era come nuova, impeccabile in ogni sua parte. Domenico, tutte le settimane portava l’auto al lavaggio e la faceva pulire sia l’interno, sia l’esterno; a completamento di tutto, le dava una buona passata di cera in modo che la carrozzeria si mantenesse integra.
Amava l’auto come fosse una figlia.
Poco dopo arrivò Patrizia, distrattamente chiuse lo sportello con forza. Domenico, nel sentire il colpo secco della chiusura, rabbrividì e stava per far partire una bestemmia che soffocò a stento sulle labbra: ritenne inopportuno mettersi contro i santi con Rocco all’ospedale.
Patrizia, timidamente con la coda dell’occhio, guardava il contachilometri per capire se il padre per l’occasione avesse rotto il muro del Codice della Strada. Niente! Le leggi le osservava a puntino. La ragazza guardava con attenzione i cartelli indicanti il limite di velocità; girava la testa e posava lo sguardo sopra il contachilometri che prudentemente segnava cinque chilometri in meno. A Patrizia il sangue le bolliva nelle vene come la caldaia di una vecchia locomotiva.
Domenico, avvedutosi del nervosismo della figlia, disse: «Puoi guardare quanto vuoi, io non mi discosto di un millimetro di quanto prescrive il Codice della Strada. Se Rocco avesse osservato le indicazioni dei cartelli, adesso sarebbe stato al bar seduto al solito tavolino ad attendere che tu gli concedessi un dolce sorriso.»
«Papà! Non cambi mai!»
Chilometro dopo chilometro, finalmente la Fiat 1500 nera di Domenico Tagliaferro arrivò nell’apposito spazio riservato alle auto dei comuni cittadini.
Al Pronto Soccorso chiesero dove potevano trovare il giovane dell’incidente stradale.
L’addetto guardò il registro e disse: «Lo trovate al reparto di terapia intensiva.»
Padre e figlia, con titubanza, si avviarono seguendo le indicazioni delle targhette appese al soffitto. Davanti alla porta del reparto, seduti su una delle panche accostate al muro, c’erano: Marco, Salvatore e Mastro Filippo con seguito la moglie e figlia.
«Filippo, come sta tuo nipote?» chiese Tagliaferro.
«È in coma!» rispose mastro Filippo.
La parola coma fece sussultare Patrizia, che iniziò a piangere.
Salvatore e Marco si scambiarono una rapida occhiata. Il comportamento della ragazza diede conferma a quello che i due immaginavano.
«Su, non fare così» disse la moglie di mastro Filippo, abbracciando Patrizia.
Dalla stanza della rianimazione uscì un’infermiera e fece cenno ai parenti di avvicinarsi: «possono entrare due alla volta solo per un minuto.»
Naturalmente, per primi entrarono mastro Filippo e la moglie. Passò poco più di un minuto e i due uscirono con gli occhi pieni di lacrime. L’infermiera fece cenno con la mano di andare altri due.
Toccò a Patrizia e a suo padre; appena varcata la porta, videro Rocco disteso sul letto con la testa fasciata, due tubicini gli uscivano dal naso e uno dalla bocca.
Aveva il volto colore melanzana e inturgidito: l’impatto con la mucca era stato così violento da provocargli un serio trauma cranico. L’infermiera posò lo sguardo sull’orologio che portava al polso e si rese conto che padre e figlia avevano superato abbondantemente il tempo a loro concesso per la visita; con l’indice della mano destra batté ripetutamente sull’orologio. Nel percepire il segnale, i due capirono che era arrivata l’ora di uscire. Patrizia portò la mano sinistra sulle labbra e poi la poggiò sul vetro che li separava da Rocco. La ragazza uscì un istante dopo il padre, aveva il volto paonazzo e due lacrime le solcavano il viso.
Mastro Filippo era a colloquio con il medico del reparto, voleva capire l’effettivo stato di salute del nipote.
Il medico gli diede conferma che il vero problema era il trauma cranico e che la rottura della gamba e del braccio, in fin dei conti, non destavano alcuna preoccupazione dal punto di vista clinico.
Il tempo necessario e si ritrovarono tutti nella sala d’attesa del reparto.
Marco chiese al suo maestro che cosa gli aveva detto il medico.
Mastro Filippo, con parole sue, espose: «Mi ha detto il medico che la rottura degli arti rientra nella normalità, il problema è il trauma cranico. Alla domanda del tempo che ci vuole per uscire dal coma ha risposto che lo sa solo Dio.
Una risposta del genere può significare tanto e niente.»
Patrizia, nel sentire le parole di mastro Filippo, fu travolta da un pianto incontrollabile, mentre il volto dei presenti divenne scuro come la notte.
La moglie e la figlia di mastro Filippo, nel vedere la ragazza piangere, cercarono di rasserenarla portando a sostegno della loro tesi la giovane età di Rocco.
Mastro Filippo, data l’ora, invitò tutti a rientrare a casa, poiché sarebbe rimasto lui ad assistere il nipote.