Costume e SocietàLetteratura

Conflitto e Giustizia: il caso di Tirso e Zaleuco a Locri

La Repubblica dei locresi di Epizefiri

Di Giuseppe Pellegrino

Si riporta interamente l’episodio che servirà a delucidare visivamente l’intera procedura e la necessità della stessa per come romanzata nel La Legge è uguale per tutti. Servirà a capire anche gli aspetti psicologici. Va da sé che non si parla più di Assemblea dei Mille, come lo si fa per come romanzato, perché gli studi odierni hanno portato a una diversa concezione della Dàmos per come riportata in precedenza. Qui semplicemente la procedura per modificare una legge fatta in modo concreto, ma visivo, per agevolare, si spera la comprensione.
L’episosodio parte da una contestazione che Zaleuco fa a Tirso di essere un adultero e perciò doveva essere accecato. Tirso propone l’abolizione della legge; Zaleuco che venga mantenuta intatta. Il racconto inizia dall’accusa implicita di Zaleuco a Tirso.E così, pensò Tirso, cosa della quale si era già reso conto, Zaleuco sapeva tutto. Ma perché non aveva fermato anche lui? Il giovane pensò di mantenersi cauto ora nelle parole, voleva sapere quanto Zaleuco sapeva o aveva semplicemente intuito. Le due cose non erano uguali. Come avesse capito il pensiero del giovane, Zaleuco disse:
«Talete ha confessato direttamente a me e a Gorgia la sua parte nella trama che avevate ordito. Tissaferne ha confessato i suoi delitti e la tua parte in tutto questa tradimento.»
«Tu ti vanti, Zaleuco, di avere portato certezza a Locri con le tue leggi. Tu predichi che un giudice non deve portare rancore o avere interesse nella causa. Ora pretendi di avere come prova il tuo pregiudizio per me, per rapirmi la vita. Ti fai scudo di un morto che non può contraddirti e di un vile marinaio crotonese che è scappato e non tornerà mai più a Locri, per inchiodarmi all’ignominia di un tradimento» rispose veemente Tirso.
Ora l’occhio sinistro del Magistrato aveva smesso di prudere. Ora Zaleuco sapeva che tutto sarebbe andato come era bene che andasse per Locri. Con voce lenta, non forte, ma decisa, disse:
«Io non di tradimento ti accuso, Tirso. Io non mi nasconderò dietro le accuse di un morto e di un fuggiasco, seppure le parole dell’uno e dell’altro hanno avuto altri testi. Io ti accuso di avere commesso l’infamia di avere consumato a danno del povero Ilone l’adulterio, che ha portato a morte Euridice.»
L’affondo toccò il segno. Euridice era per Tirso la ferita sanguinante. Non per paura era scomparso da Locri, ma per salvare il salvabile, e anche per poter finalmente piangere le sue colpe. Che erano solo sue. Gridò verso il Magistrato:
«Non parlare di Euridice, Zaleuco. Non lordare il suo ricordo con accuse infamanti.»
Ora Tirso era senza difese. Zaleuco fece cenno ad Agesilao, che si avvicinò con altri soldati. Poi si rivolse a Tirso con il tono di chi ormai riteneva la conversazione finita:
«Io porterò contro di te il dolore dei vivi a prova della tua colpa. Tu da la tua parola che domani a sole alto ti presenterai nell’Agorà nel giudizio che punisce gli adulteri, senza farti accompagnare dagli opliti.»
Tirso fece cenno con il capo inchinandosi che andava bene. Non capiva di quale prove poteva il Magistrato avvalersi e non capiva perché il Magistrato non insisteva nella accusa di tradimento e di omicidio. Presto lo avrebbe scoperto.
La notte fu lunga per tutti, tranne per coloro che non sapevano della imminenza di un’esecuzione più grave della morte. Tirso pensò di scappare, per un momento. Ma poi rigettò il pensiero. Sarebbe bastato non tornare a Locri dopo l’incontro con Aristarco. Lo stratega non aveva voluto sapere di avvicinarsi a Locri, nonostante assicurazioni sulla paga ai soldati. Con grande senso delle cose di guerra in poche parole spiegò a Tirso che le sue venti
enomatie non avrebbero scalfito Locri, senza una rivolta interna. Occorreva uccidere Zaleuco. L’occasione sarebbe stata propizia per uno stato di allerta. Di poi l’aiuto esterno avrebbe permesso a Tirso e Tissaferme di avere in pugno la polis. Ep poi vi era la pressione di Crotone, che temeva cha da una iniziativa così poteva nascere una polis molto agguerrita sul piano militare e non succube del vicino. E a Crotone il legname e la pece facevano gola. Tornò, Tirso, nella convinzione che avrebbe potuto ribaltare la situazione sfavorevole, ma anche perché fuori di Locri non vedeva la sua vita, per cui non aveva senso scappare.
Non dormì, Zaleuco, ma si agitò tutta la notte. La situazione era sotto controllo, ma non capiva il ritorno di Tirso. Temeva un attacco per il giorno dopo, mentre l’attenzione era sul processo, che aveva fissato per la tarda mattinata perché prima voleva informare della accusa i maggiorenti della
Bolà, del Consiglio degli Anziani e della Damos, della Assemblea dei Mille. Agesilao avrebbe dovuto vigilare due volte: lontano dalla Agorà per i tumulti; lungo le mura di Locri per un attacco esterno. Ora realizzava prontamente che di fatto Agesilao era l’unico comandante sul campo, tolto di mezzo Tissaferne e che le falangi tornate potevano benissimo in poco tempo essere riarmate. La mattina si era addormentato, ma era già ora di alzarsi.
Ma più di tutti passò una notte agitata Agesilao. Il giovane si rendeva conto della gravità degli avvenimenti. Si era meravigliato della facilità con la quale Zaleuco aveva saputo destreggiarsi nel nido di vipere e di potere che si era calpestato.

Redazione

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