Costume e SocietàLetteratura

Tot capita, tot sententiæ

Le riflessioni del centro studi

Di Sandro Furfaro – Avvocato del Foro di Locri

Molto spesso, nella prassi è proprio la definizione che ne da la norma a essere messa in discussione dal perseguimento di interpretazioni finalistiche che, variamente giustificate, non solo vanno ben oltre i limiti del testo, ma risultano disancorate da qualsivoglia altro criterio interpretativo consentito o comunque accettabile. Ed è proprio sull’individuazione della norma, in sé e nel sistema, che la giurisprudenza, pressoché costante nelle affermazioni di principio, risulta oltremodo ondivaga nella prassi interpretativa, così da potersi ripetere, ampliando l’orizzonte di riferimento, quanto già stigmatizzato da Rolando Quadri a proposito di differenziazione tra norme speciali e norme eccezionali: che, cioè, abbandonando il metodo positivo in favore di paralogismi a sfondo finalistico e abusando dell’interpretazione al di fuori del riferimento della disposizione da applicare all’ordine particolare nel quale è inserita (e, di seguito, nella struttura delle regole fondamentali dell’ordinamento), si realizzano veri e propri sistemi paralleli che superano l’ambito della fisiologica differenziazione e determinano vere e proprie fratture interpretative di difficile (e a volte impossibile) composizione su un punto di equilibrio che rispetti il senso del testo, il limite entro il quale la conclusione proposta è accettabile e, così, quanto voluto dal legislatore per la risoluzione del caso concreto.
È vero che “ciascun giurista è in grado di sostanziare la funzione di un istituto, o lo scopo di una norma giuridica, in chiave alle istanze del suo trascorso ideologico e politico per trarre le conseguenze che più gli aggradano ovvero che gli risultino culturalmente più affini”. Ma, seppure non può dirsi senza un’esagerazione che “nella natura umana vi sono numerose suggestioni che influiscono sull’applicazione concreta della legge”, certamente è esatta la conclusione per la quale l’esistenza di diversità di opinioni su una norma o un istituto “induce, inevitabilmente, a pensare che l’applicazione della legge sia determinata da una serie di fattori umani che ne alterano il rigore, a favore dell’aumento dell’incertezza del diritto che, com’è ovvio, influisce negativamente sul cittadino, che perde di vista l’agere secundum legem rispetto all’agere contra legem, con conseguente induzione a preferire l’immobilità all’attività, ovvero, a preferire la stasi allo sviluppo della sua personalità”.
Il fenomeno è tutt’altro che nuovo e accade, anzi, con tale frequenza e continuità da rendere sempre attuale l’osservazione, caustica più che acuta, di Piero Calamandrei che, al cliente soccombente che gli chiedeva conto di come nello stesso giorno in cui una sezione della Corte di cassazione gli avesse dato torto su una questione di diritto, altra sezione avesse deciso in senso diametralmente opposto, rispondeva: «Stia tranquillo, non ho sbagliato difesa, ho solo sbagliato porta». Gli è, in sostanza, che è la ricerca costante di punti di equilibrio entro i limiti dell’interpretazione consentita a risentire di un certo relativismo di approccio alla norma da applicare che si traduce in una sostanziale lettura funzionale di essa, di volta in volta orientata alla realizzazione del fine perseguito al di là o, addirittura, contro la definizione e il testo della norma stessa.
Se, infatti, interpretare altro non è che “attribuire significato ad un ente cui conviene un’attribuzione di significato”, non soltanto è evidente che tutto può essere sottoposto a interpretazione (e, quindi, che il senso stesso dell’interpretare può variare a seconda che si specifichi in relazione agli oggetti e ai campi di esperienza, ovvero agli scopi) ma che, tanto per l’interpretazione in via generale che per quella della legge (o del diritto) in particolare, non può dirsi che, tra le interpretazioni possibili, ne esista una che sia, in sé, giusta (o più giusta) e  tampoco vera, risolvendosi, invece, il tutto esclusivamente secondo relazione, per cui l’interpretazione è (più o meno) corretta (ovvero accettabile), secondo un termine di comparazione che la giustifichi come risultato interpretativo.

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023

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