“Sotto la pancia di un essere umano non troverete radici, ma gambe fatte per camminare”
Pensieri, parole, opere… e opinioni
Nelle ultime settimane si è sentito molto parlare di Ius Soli e Ius Scholæ, due latinismi con cui la politica intende cercare di venire a capo di una questioni più pruriginose che affliggono il nostro Paese: quella dell’integrazione. Senza entrare nel merito nei tecnicismi che distinguono le due proposte, che allo stesso modo dimostrano il paradosso di una realtà sociale globalizzata in cui viene universalmente preteso di poter acquistare in tutto il mondo nel giorno di uscita un nuovo iPhone ma non che qualcuno con un colore di pelle diverso dal nostro possa godere dei nostri stessi diritti costituzionali, sono sempre stato convinto che nessuno, se non chi ha vissuto sulla propria pelle la trafila burocratica del richiedere una cittadinanza del nostro Paese, possa raccontare quali davvero siano le storture di un sistema farraginoso che ci ostiniamo a non voler vedere.
Ne hanno parlato in maniera illuminante ieri sera, 1º settembre, nell’ambito della Festa dell’Unità a Roccella Jonica, il portavoce del Presidente della Giunta Regionale della Toscana Bernard Dika e l’autore del saggio La pelle in cui abito Kader Diabate. Introdotti dalla Direttrice della Caritas Diocesana di Locri-Gerace Carmen Bagalà, entrambi hanno offerto prospettive uniche e toccanti sulla loro esperienza di vita come immigrati in Italia, sottolineando l’importanza del riconoscimento della cittadinanza per i bambini nati e cresciuti in Italia.
Bernard ha iniziato il suo intervento condividendo la storia personale della sua famiglia, fuggita dall’Albania negli anni ’90 per lasciarsi alle spalle una situazione di estrema instabilità e povertà. Ha raccontato con profonda emozione le difficoltà affrontate da suo padre, un muratore clandestino, e come, nonostante tutte le avversità, abbia deciso di rischiare la vita per dare un futuro migliore alla sua famiglia. Il suo racconto ha evidenziato le sfide quotidiane che i bambini come lui devono affrontare, come l’umiliazione di dover rinnovare continuamente il permesso di soggiorno e la paura di essere considerati stranieri nel paese in cui sono cresciuti. Bernard ha posto l’accento sul paradosso di vivere in un Paese che ti dà l’opportunità di crescere, studiare e diventare un cittadino a tutti gli effetti, ma che allo stesso tempo nega il riconoscimento formale di tale appartenenza. Ha evidenziato come lui sia diventato cittadino italiano a tutti gli effetti solo perché la richiesta di sua madre è stata accolta quando ancora era minorenne, privilegio di cui sua sorella non ha potuto godere dovendo ripetere l’intera trafila attraversata dai suoi genitori al compimento della maggiore età e sottolineato come, invece, a cittadini stranieri, che nulla sanno del nostro Paese ma che avevano trisavoli italiani, sia invece concesso il Passaporto Italiano senza troppe rimostranze. Ha concluso sottolineando la necessità di una riforma che garantisca ai bambini nati e cresciuti in Italia il diritto alla cittadinanza, non solo per il rispetto dei loro diritti ma anche per l’equilibrio tra i doveri e le responsabilità che ogni cittadino deve avere.
Kader, dal canto suo, ha portato l’attenzione sull’esperienza vissuta da molti immigrati che, pur vivendo in Italia per anni e contribuendo alla società, non vedono riconosciuti i propri diritti. Ha raccontato la storia di un amico che, nonostante viva in Italia da 25 anni, non ha ancora ottenuto il permesso di soggiorno e dei suoi figli che, nati e cresciuti in Italia, si sentono alieni nel Paese d’origine del padre. Kader ha messo in luce l’assurdità e l’ingiustizia di una situazione in cui i bambini, che non hanno avuto alcuna scelta sul luogo di nascita, sono costretti a vivere discriminazioni quotidiane e ad affrontare ostacoli burocratici solo perché i loro genitori non sono cittadini italiani. Ha condiviso episodi di discriminazione vissuti in prima persona, come quando fu spinto fuori da un treno semplicemente per il colore della sua pelle e sottolineato come i radicalismi che spesso sfociano nella violenza, siano spesso figli dell’esasperazione per il mancato riconoscimento dei diritti basilari, rispondendo così alle esternazioni di chi cavalca i casi di cronaca per giustificare un irrigidimento delle norme di accoglienza.
Entrambi gli interventi hanno sollevato domande cruciali sulla natura dell’identità e della cittadinanza in Italia, evidenziando come la mancanza di riconoscimento legale possa portare a una marginalizzazione sociale ingiusta e dolorosa. Il loro appello per una riforma dello Ius Soli è stato chiaro: l’Italia deve riconoscere come cittadini coloro che, pur essendo nati da genitori stranieri, sono cresciuti in questo Paese, ne condividono la cultura, la lingua e i valori. Un appello a una società più inclusiva e giusta, in cui i diritti siano rispettati e valorizzati, che possa dare l’abbrivio a una realtà sociale più sostenibile non solo per il nostro Paese, ma per il mondo intero.
Un sogno meraviglioso di integrazione e giustizia sociale che pare impossibile da realizzare, esattamente come, ha concluso Bernard, pareva impossibile che un piccolo gruppo di resistenti potesse svegliare le coscienze delle folle che inneggiavano a Benito Mussolini.