Costume e SocietàLetteratura

“Nomina sunt consequentia rerum”

Le riflessioni del centro studi

Di Sandro Furfaro – Avvocato del Foro di Locri

Ammoniva la sapienza romana, ripresa da Dante nella Vita Nova, che “nomina sunt consequentia rerum” e l’affermazione va ovviamente intesa nel senso che è dalla essenza di ciascuna cosa che deriva il suo nome. Un dato di comune esperienza insegna, infatti, che i nomi rappresentano il precipitato di processi storici e di evoluzioni di costume che si esprimono come simboli, che rivelano l’essenza, le particolarità, tutte o soltanto alcune qualità che caratterizzano una certa cosa (o una persona) in luogo di un’altra.
Nella realtà dei fenomeni, dunque, è dall’essenza e dalla qualità della cosa o del fenomeno (intendendo per qualità qualsiasi caratteristica che attribuisca a taluna cosa o a un tal fenomeno una peculiarità) che si ricava il nome. Si tratta, in sostanza, di un processo di sussunzione del nomen dalla caratterisctica intrinseca alla res che, a meno di non voler confondere l’ordine delle cose e distogliere ciascuna cosa da ciò che è suo proprio, non consente il contrario (e, cioè, che “res sunt consequentia nomini”) per l’evidente ragione che, per tale via, sarebbe impossibile raccordare nome e cosa stante la possibilità, ove fosse la cosa a essere conseguenza del nome, di attribuire a realtà diverse lo stesso nome, ovvero alla stessa realtà nomi diversi.
Ponendo mente al fatto che è dall’essenza e dalla qualità (dalla caratteristica, dalla particolarità) della cosa o del fenomeno che discende il suo nome si coglie appieno la fondatezza della massima romana e di come, essa, nel mondo del diritto valga a distinguere fenomeni che, costituiti magari dalla medesima sostanza, si caratterizano per l’emergenza in uno di essi di tratti particolari che lo qualificano, distinguendolo dal resto, pur contiguo. Esempi a iosa, se ne indicano due soltanto, giusto (come suol dirsi) per spiegarsi. Il primo: cos’è mai il peculato, se non una appropriazione indebita commessa da un pubblico ufficiale? La qualità dell’agente, però, muta la definizione, di modo che l’attribuzione del nomen proprio pone in risalto che l’approfittamento della fiducia da parte di chi, possedendo la cosa altrui, se ne appropria è costituito dall’agire di chi, della sua posizione all’interno dell’ordinamento, dovrebbe costituire garanzia per i consociati. Il secondo: cos’è mai ciò che si definisce riciclaggio, se non una ricettazione qualificata dal requisito del trasferimento o della sostituzione di denaro o di altra utilità proveniente da delitto non colposo ovvero dal compimento di attività che impediscano la riconduzione di quelle cose al delitto sottostante? Il compimento delle dette condotte e la particolare intenzione richiesta qualificano il fenomeno, distinguendolo dal resto.
La definizione (il nome) è, dunque, sussunzione e ordine delle cose e dei fatti, sicché, nel mondo del diritto, l’espressione fatto giuridico qualifica l’accadimento, individuandolo nella realtà fenomenica come ente definito di cui la definizione che coglie l’essenza e, con essa, ciò che al diritto rileva: la capacità di essere causa di conseguenze giuridiche e, in particolare, di quelle conseguenze giuridiche da riconnettere a quel fatto.
Alla base di tutto è sempre unfatto, sul concetto del quale giova indugiare, in quanto il sostantivo, dall’archetipo aggettivale (“factum est”; “quod factum est infectum fieri non potest”), risulta variamente definito. Così, fatto è tanto ciò che accade nell’esperienza come risultato di un’azione, quanto lo svolgimento stesso di un’azione; tanto quel che appare dotato di una propria verità o realtà nell’ambito del concreto, quanto qualsiasi avvenimento determinante un rapporto giuridico ovvero l’insieme delle circostanze giuridicamente rilevanti di un rapporto. Tutto questo e altro ancora ruota intorno al concetto di fatto, quasi a significare (se ve ne fosse bisogno) che, così come nella realtà ogni cosa deve essere ricondotta a un nome, nel mondo del diritto ogni fatto deve avere un nome, con tutto ciò che segue in punto di individuazione di quel fatto come fatto giuridico.
Fatto come “qualunque avvenimento, materiale o immateriale, che si presenta nella realtà”, allora, pur essendo definizione esatta, in quanto esprime un compiuto (il fatto considerato in sé, avulso per esigenze di delimitazione dal contesto delle cause; fatto come evento), in quanto non ogni comportamento che realizzi un evento è rilevante rispetto all’ambito giuridico, non ogni fatto inteso come evento interessa l’ambito delle relazioni che interessano il diritto. Dire, dunque, che fatto giuridico “è quel fenomeno dell’esperienza naturale o sociale che assume rilevanza giuridica” è un tutt’uno col dire che esiste una norma che riconnette alla produzione del fatto un evento “qualificato e valutato dall’ordinamento allo scopo di collegarvi determinati effetti giuridici”.
Ciò vero, l’essenzialità della definizione è presto detta se essa altro non è che sussunzione del fatto dalla sua essenza e dalle sue qualità, e, all’un tempo, collocazione del fatto entro l’ordine concettuale e giuridico che gli compete può dirsi, nelle sue linee fondamentali, dimostrata.

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023
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