Attualità

Italvolley: un trionfo che smaschera le contraddizioni del Sistema Italia

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Non c’è nulla da fare. Il concetto di integrazione è e resterà per sempre estraneo a certe personalità del panorama sociale italiano.
Il casus belli, una volta di troppo, sono le Olimpiadi di Parigi 2024, chiuse con una prestazione imperiale da parte delle atlete dell’Italvolley, che ci hanno regalato una partita monumentale valsa un’oro olimpico unico nella storia della pallavolo italiana. La tempra eccezionale mostrata in campo dalle ragazze guidate da Julio Velasco ha creato non pochi imbarazzi alla classe dirigente più intollerante della storia del Bel Paese che, all’esito della partita contro gli Stati Uniti, si è sentita in dovere di dimostrare il proprio antirazzismo esibendosi in scivoloni da Guinness dei primati.
L’Italia della pallavolo femminile che ha vinto per la prima volta un oro presenta infatti una serie di caratteristiche che cozzano un po’ con le dichiarazioni strillate nelle recenti campagne elettorali da più esponenti politici. Innanzitutto sono allenate da un argentino che è stato presidente del comitato studentesco della facoltà di filosofia in un periodo di brutali colpi di stato negli stati dell’America centro meridionale, e per di più militante comunista, che ha visto scomparire alcuni suoi amici nonché suo fratello minore, di cui non ha avuto notizie per mesi, prima di lasciare l’università e condurre un’esistenza da perseguitato politico che lo ha portato fino in Italia. Quindi perché la nazionale di pallavolo femminile ha, nella sua formazione, ben due straniere di cui non possiamo fare a meno, risultate determinanti per le sorti del torneo. Mi riferisco naturalmente a Ekaterina Antropova, islandese nata da genitori russi e Sarah Fahr, bavarese che, al netto di un trasferimento in Italia in tenera età, ha avuto anche lei il suo bel daffare come la collega per ottenere un passaporto italiano. Il paradosso di questa nazionale, tuttavia, è che, vivaddio, Velasco, Antropova e Fahr sono bianchi e quindi, con buona pace di Roberto Vannacci, hanno tratti somatici che possono esprimere l’italianità, pertanto si può visivamente passare sopra al fatto che non siano di questo Paese e toglierci dall’imbarazzo di vedere questo successo sportivo cozzare con le dichiarazioni che l’Italia debba restare nelle mani di chi storicamente la abitava. Con un po’ di fortuna l’elettorato potrebbe anche non accorgersi del problema…
Un po’ più complicato da nascondere, invece, è il ruolo di altre due giocatrici di punta della nostra nazionale, Paola Egonu e Myriam Sylla, che hanno la pelle un attimino tendente all’ebano e, loro sì, creano un imbarazzo politico relativamente a come commentare questa vittoria dopo che per anni si è riempita la testa degli elettori con “prima gli italiani”. Ecco allora il colpo di genio di dirigenti e opinionisti filogovernativi che, nell’occasione corrente faremo rappresentare dal sempreverde Bruno Vespa che, nel sottolineare il successo sportivo della nazionale, ha voluto evidenziare le capacità del nostro Paese di adattarsi ai tempi che cambiano dimostrando grandi capacità d’integrazione.
Scrive il conduttore di Porta a Porta “Straordinaria la nazionale pallavolista femminile [e fin qui tutto bene]. Complimenti a Paola Enogu [primo problema: è Egonu e non Enogu, una controllatina prima di scrivere il nome dovrebbe essere di rito per uno che ha fatto carriera sull’informazione] e Myriam Sylla: brave, nere, italiane [caduta di stile: il solo fatto di dover sottolineare quale sia il colore della pelle delle giocatrici dimostra che si sta cercando di nascondere quello che si ritiene sia un problema]. Esempio di integrazione vincente.”
“Esempio di integrazione vincente” scrive Vespa che, come non ha controllato la correttezza del cognome della Egonu, non ha controllato manco dove siano nate Paola e Myriam e quale cittadinanza abbiano dalla nascita. Eh già, perché Paola è nata e crescita a Cittadella, provincia di Padova, Veneto, Italia, mentre Myriam è di Palermo, Sicilia, ancora una volta Italia. Ma siccome abbiamo mandato al Parlamento europeo chi afferma che i loro tratti somatici non esprimono l’italianità, non passa nemmeno per l’anticamera del cervello la possibilità che possano essere nate nel nostro Paese, che una persona con la pelle scura possa portare con orgoglio il nostro tricolore sul petto e che l’integrazione, qui, non c’entra proprio nulla a meno che non vogliamo cominciare a parlarne in termini assoluti e quindi in riferimento anche a bambini che non presentano la pelle scura.
Ecco come l’imbarazzo per una situazione che si è cercato in tutti i modi di definire politicamente sbagliata ha finito per dare vita scivoloni inguardabili, che dimostrano una volta di più la presenza in questo Paese di un razzismo latente del quale non ci libereremo mai se non cominceremo ad aprire i nostri confini mentali come tanti altri Paesi del mondo (e le proprio le Olimpiadi lo hanno dimostrato) hanno fatto già da tempo.

Foto ilfoglio.it

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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