Costume e SocietàLetteratura

Il ruolo della volontà e coscienza nell’imputabilità penale: sfide tra razionalità e nuove scienze

Le riflessioni del Centro Studi

Di Francesco Donato Iacopino – Avvocato del Foro di Locri

Quella tra dolo, colpa e criteri d’imputazione poggianti la responsabilità sul mero nesso eziologico, è una convivenza che invero non permette assolutamente di affermare con certezza che i criteri d’imputazione soggettiva del fatto sia espressione diretta di quella concezione ontologica dell’essere umano tipica del mondo cristiano e di quello liberale.
Accertata l’inidoneità di tale percorso a confermare o escludere la sopravvivenza dell’uomo indeterministico alla fusione tecnicistica degli anni 30 dello scorso secolo, occorrerà, necessariamente, ricercare altrove le norme o gli istituti ritenuti rivelatori di tale concezione e, pertanto, posti a sostegno delle conclusioni rassegnate.
A tal uopo ci soccorre un enunciato che, in virtù anche della sua collocazione sistematica (a cavallo tra i criteri d’imputazione oggettiva e quelli d’imputazione soggettiva) a parere di chi scrive può essere eretto a emblema della concezione umana che ha prevalso nell’attuale codice penale.
L’enunciato cui si fa riferimento è il primo comma dell’articolo 42 del codice penale, che testualmente recita: “Nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”.
Principio questo che, anche se contenutisticamente tende verso l’elemento soggettivo, s’interpone tra i criteri d’imputazione del reato oggettivi e soggettivi, ponendo a carico dell’interprete l’onere, succedaneo all’accertamento del nesso di causalità e antecedente a quello dell’imputabilità soggettiva, di accertare se la condotta sottoposta a vaglio e ritenuta concausa dell’evento, oltre che promanare dal soggetto agente,  rappresenti il risultato di una sua scelta libera oppure la conseguenza di anomalie nel processo volitivo che hanno portato a una condotta priva di volontà (intesa come determinazione ad agire) e coscienza (ovvero della consapevolezza dell’impatto e del valore sociale dell’azione od omissione).
Detta in altri termini, per tale primo comma dell’articolo 42 del Codice Penale, affinché la condotta possa effettivamente essere qualificata come umana, è assolutamente necessario per l’interprete accertare la sussistenza della Suitas, ovvero accertare l’appartenenza della condotta al soggetto agente, non la mera riconducibilità a lui della stessa.
Appartenenza della condotta al soggetto agente riscontrabile solo se e soltanto patto che l’azione o l’omissione, causalmente idonea a determinare l’evento previsto dalla norma, rientri nella signoria della sua volontà, ovverosia solamente quando tale condotta non risulti il prodotto di coartazione fisica o naturale e sia governabile attraverso un impulso cosciente o uno sforzo di volontà.
Concetto, questo dell’appartenenza della condotta (tipizzato anche negli articoli 45 e 46 del CP e rafforzato dagli articoli 47 e 85 del CP) che ci consente di affermare senza possibilità di smentita che effettivamente l’uomo cui fa riferimento il nostro codice è quello liberale, ovvero un essere razionale e, pertanto, in grado di autodeterminarsi consapevolmente, non invece un uomo succube dei suoi istinti primordiali e condizionato dall’ambiente in cui vive, dalla razza o etnia d’appartenenza, o dal lavoro che svolge.
Chiarito tale fondamentale punto e specificato anche il possibile percorso seguito per raggiungerlo, comunque rimane senza risposta il quesito su quanto possa aver inciso e su quanto ancora potrà incidere il positivismo giuridico sul nostro codice, attraverso il nesso di causalità.
Invero, l’aver subordinato al vaglio del giudice l’ingresso nella dimensione penale di scienze, quali la psicologia e l’antropologia criminale (rectius = criminologia), può essere ritenuto uno strumento idoneo e sufficiente a preservare il diritto penale da derive lombrosiane o tale vaglio preventivo, dipendendo da una valutazione soggettiva, potrebbe rappresentare il cavallo di Troia attraverso cui, ad esempio, le nuove prospettive criminologiche proposte dalle neuroscienze riusciranno a violare le mura del sistema penale ? A voi il testimone.

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023
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