La Calabria porta d’ingresso di un nuovo Mediterraneo. Crediamoci, anche sotto questo cielo
Di Franco Crinò
Non saprei dire esattamente dove l’ho sentita la prima volta, ma l’espressione il cielo di turno mi è tornata in mente per parlare di una certa giornata, di chi ci fosse e chi no.
Noi ci siamo messi in piedi. Franco Arminio, un grande, oggi è con noi. Sappiamo del suo libro, con cose così che sono insegnamenti, gioie o dolori, persone.
Ha scritto di chi non ha potuto vedere la ricostruzione di un paese, l’affermazione di un partito, il successo di un amico. Perché non c’era più.
Continuiamo con Arminio il nostro progetto, dopo la tabula rasa, del Comune, Casignana, lasciato senza risorse, idee e motivi: ci rinfranca, il poeta “Voi ci siete!”. Per lavorare, dialogare. L’ incendio che mette ancora paura, l’acqua che manca, il telefono che non trova la linea: Franco Arminio ci incoraggia, ci spiega, si fa spiegare. Sta con noi.
«Chi ha fallito vuole che tu fallisca – puntualizza – chi è vuoto non vuole che tu riempia la piazza, i cuori.»
Noi abbiamo scelto le note della compostezza, abbiamo riordinato le idee, proseguito con il lavoro.
A un’ora improbabile del giorno dopo, per il rinvio forzato dell’evento, c’erano lo stesso, alla Villa Romana, l’Amministrazione Comunale, gli impiegati, i cittadini, ex sindaci, professionisti, la Protezione civile, il Servizio civile, la Pro Loco, le Associazioni, i poeti, ospiti che hanno preso in mano il microfono, di Reggio Calabria, di Messina, di Locri, di Marina di Gioiosa, di Bianco, di Bovalino, di Caraffa, di Sant’Agata, le televisioni. I Canadair, ancora al lavoro.
«Io vivrei qui con voi, specie adesso che vi ho visti ed ascoltati – ripete Franco Arminio – i posti della Locride non hanno uguali, la generosità neppure, se vi mettete a promuovere questo territorio con impegno raggiungerete grandi risultati.»
Legge le sue poesie, ascolta quelle degli altri, risponde alle domande dei rappresentanti dei gruppi locali, Agata Mazzitelli, Antonietta Nicita, osserva le foto sullo spopolamento dei paesi curate da Giuseppe Vottari, chiede di avere in dono una bottiglia di Greco e una di Mantonico, vini che lui conosce già.
Parla e incanta. Con semplicità. «I mezzi che mancano debbono mettere in maggiore evidenza le bellezze… che non mancano. Aprite una vertenza per i servizi, ma non mettete nel cassetto o sotto un panno i vostri gioielli, anzi portateveli addosso quando andate a parlare con i governi.»
Parla dei borghi, delle porte chiuse, di chi pensa che debbano riaprirsi, abitarsi, di una Calabria che da fastidio, ma che deve diventare la porta d’ingresso di una nuova realtà nel Mediterraneo. Un vanto dell’Italia.
«Prendete i cieli migliori e regalateli anche agli altri, a Pordenone non si soffermano su queste cose, non potrebbero. Non le hanno. In macchina, da Reggio a qui, ho visto mare e montagne, il loro volto amico, insenature e paesaggi adatti per il grande turismo. Conosco i prodotti, le attività, pure i difetti che non sono affatto prevalenti, diciamolo. La storia serve per insegnare, non va cancellata, significherebbe cancellare, insieme, il passato.»
La settimana prossima avremo un’altra nottata sotto le stelle. Guarderemo in alto, sistemandoci nel corridoio del Dioniso alla Villa Romana. L’ebbrezza di collegare il bello che c’è nello spazio. E nelle vite. I disegni delle tessere sul terreno, degli astri nel firmamento. Loro muti, ma attenti. Noi attenti, ma muti no. Stiamo facendo un bel lavoro, sotto questo cielo.