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Olimpiadi di Parigi 2024: il veleno della critica italiana non ferma l’orgoglio degli atleti

Pensieri, parole, opere… e opinioni

Iniziata la settimana che chiude le Olimpiadi di Parigi 2024, mi sento in dovere di tornare a parlare della competizione sportiva non tanto perché la manifestazione mi ha fatto riscoprire una passione sopita da ormai molto tempo, quanto piuttosto per sottolineare come il nostro Paese sia riuscito a instaurare, anche in una manifestazione che dovrebbe celebrare la comunione tra i popoli e lo spirito di fratellanza, un clima tossico che ne ha funestato ogni disciplina.
Dopo le polemiche ridicole sulla cerimonia d’apertura, infatti, i maestri dell’opinione italiana si sono concentrati sulle prestazioni degli atleti, spesso permettendosi di bollare frettolosamente come mediocri prove per le quali i nostri ragazzi hanno speso tutto per interi anni. La tendenza è stata inaugurata nientemeno che da Elisa Di Francisca, cosa ancora più grave perché sportiva dato che, per chi non lo sapesse, l’opinionista della televisione di Stato è un’ex schermitrice che ha vinto diverse medaglie anche in competizioni prestigiosissime, che si è arrogata il diritto di definire “surreale” la contentezza Bendetta Pilato per essere arrivata 4ª (a 1 centesimo dal podio) nella finale dei 100 metri rana ad appena 19 anni. Per Di Francisca e i commentatori Rai quel 4º posto era un palese fallimento, non se ne poteva essere contenti, come se Benedetta, più che essere diventata la quarta ranista più veloce al mondo, avesse fatto fatica a concludere mezza bracciata gareggiando con ‘zza Rosa a gutti, che in acqua si cala solo in estate quando va a mare e spesso viene pure scambiata dalle imbarcazioni per una boa di segnalazione.
Sorte simile è capitata anche alla più navigata Simona Quadrarella, che non doveva permettersi di non classificarsi per la finale dei 200 rana femminili e che ha shockato l’Italia affermando «Non mi aspettavo di riuscire a fare un’altra Olimpiade. Per i giornalisti magari è brutto sentirsi dire “È bello anche solo poter partecipare”, ma per me è lo stato.»
E poi il titolo di Repubblica che plaude le ragazze che hanno vinto nella scherma identificandole solo per le amicizie prestigiose o la critica a Marcell Jacobs per non aver difeso con abbastanza convinzione l’oro nei 100 metri piani ,senza considerare che è arrivato 5º, è vero, ma nei 100 metri più veloci della storia delle olimpiadi, con tutti i finalisti separati da 12 centesimi e sotto la barriera magica dei 10 secondi.
Non intendo spendere troppe parole, poi, per la questione Imane Khelif/Angela Carini, chiaramente così tanto strumentalizzata fin dai giorni precedenti all’incontro da condizionare moralemente la nostra atleta e sfruttata in maniera vergognosa creando un’atmosfera da “dagli all’untore” nei confronti di una sportiva che ha l’unica colpa di avere una disfunzione ormonale che comunque la fa rientrare nei parametri tollerati dalla federazione.
Grazie a Dio questa generazione di atleti sa come rispondere alle provocazioni di una classe dirigente chiaramente obsoleta e convinta di riuscire a nascondere le proprie mancanze trovando i difetti in chi sta per prendere il suo posto a testa alta.
In questi termini le risposte migliori a questa follia nazionalista sono state date dalla medaglia d’oro nel Judo femminile Alice Bellandi, che ci ha deliziato in mondovisione con una bacio alla sua compagna che ci ha dimostrato che un’Italia diversa è possibile e proprio Pilato che, al netto della giovane età, ha fatto un breve discorso estremamente lucido che sento il dovere di riportare integralmente:

Spero di aver smosso un po’ questa generazione: l’episodio che è successo a me succede in tanti altri ambiti, nel lavoro, a scuola, all’Università. Ci dicono che siamo svogliati, che non vai bene se non finisci la laurea in tempo, ma ognuno ha i suoi tempi. Ho sentito tanti giovani in questi giorni che si sono sentiti colpiti personalmente, questa è la mia vittoria più bella.
Chiariamo, io non sono una che si accontenta, a nessuno piace perdere, ma se arrivo quarta non posso che fare i complimenti alle prime tre, non è che posso chiedere di rifare la gara o l’intervista. E poi ognuno ha diritto di gioire per quello che vuole. Io sono contenta perché ho capito quanto valgo

Ridondante aggiungere altro, se non il collegamento al video che ha prodotto, in merito, il sempreverde Zerocalcare, che ha saputo esprimere in immagini, e certamente meglio di me, quanto io ho scompostamente espresso in queste righe.

Foto di Luis ROBAYO / AFP

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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