Determinismo e Indeterminismo nel Diritto Penale Italiano: un’analisi del Codice Rocco
Le riflessioni del Centro Studi
Di Francesco Donato Iacopino – Avvocato del Foro di Locri
Guardando ai contenuti delle due opposte ed esposte ideologie ruotanti attorno all’indole umana, le stesse possono essere così riassunte: gli indeterministi intendono l’essere umano come soggetto in grado di autodeterminarsi in quanto dotato della capacità di rappresentarsi mentalmente e preventivamente le dinamiche delle proprie azioni e delle proprie scelte; per i deterministi, invece, l’individuo è un’entità assolutamente priva della capacità di autodeterminarsi, le cui azioni e le cui scelte sono determinate da cause preesistenti (regole comportamentali), quali l’estrazione sociologica del soggetto agente, i condizionamenti ambientali e sin anche l’etnia d’appartenenza ed i tratti somatici.
Tenendo presenti le due differenti concezioni della natura umana che, come abbiamo appena visto, portano a due differenti sistemi penali, si può facilmente riscontrare che la concezione indeterministica del diritto penale è quella che ha prevalso nel corso dei secoli e ad essa guarda in maniera esclusiva il Codice Zanardelli.
Prevalenza della concezione indeterministica che tuttavia non può essere sostenuta a priori anche per il Codice Rocco, risultando esso il prodotto di un dichiarato processo di amalgamazione fra le suddette due opposte concezioni del diritto penale.
Fusione questa operata dai tecnicisti giuridici (fra i quali figurava ed eccelleva lo stesso Arturo Rocco), dietro la spinta ideologica generata dalla necessità, per un verso, di superare l’eccessiva astrattezza concettualistica della concezione liberale e, per altro verso, di contrastare il vassallaggio del diritto penale ad altre scienze, come l’antropologia, la psicologia e la sociologia.
Essendo questa la geneaologia del codice Rocco, sin da subito ci si interrogò su quanti e quali principi del positivismo giuridico fossero stati affiancati a quelli di tradizione liberale, nonché su quale fosse la loro effettiva portata e, per quel che qui interessa, su come e quanto abbiano eventualmente inciso sulla concezione dell’essere umano.
Nel dare risposta a tali interrogativi, gli accademici conclusero che l’influenza della concezione deterministica era minima: avendo la pericolosità sociale trovato spazio solamente in ambito di applicazione delle misure di sicurezza; avendo il principio di causalità, pur se riconosciuto, subito un contemperamento per via della subordinazione delle scienze al diritto e, soprattutto, avendo il legislatore de 1930 aderito alla concezione liberale relativamente ai criteri d’imputazione soggettiva del fatto reato.
Tuttavia, al di là delle non avversate conclusioni cui è giunto il mondo accademico, avendo noi la necessità di esplicitare quanto indirettamente emerge da tali conclusioni circa l’idea di essere umano che pervade il nostro codice penale, occorrerà ora, necessariamente, ripercorrere la strada seguita dai luminari del tempo per approdare a esse.
Per ripercorrere tale strada senza correre il rischio di smarrirsi è evidente che si rende necessaria una che ne tracci il percorso. Mappa che nel nostro caso si sostanzia negli atti utilizzati per comparare il nostro Codice Penale ed i principi espressi dalle suddette contrapposte ideologie.
A tal proposito è lecito supporre, anche desumendolo dalle conclusioni, che tra gli atti esaminati per tale comparazione, grande rilevanze ebbe la Relazione al codice ed al Regio Decreto nº 139 del 19 ottobre 1930, nella quale il Guardasigilli Rocco rivendicò, con enfasi, l’adesione alla teoria della volontà, l’autonomia e indipendenza delle scienze giuridiche dalle altre scienze e la prevalenza della prima sulle seconde in ambito penalistico.
Essendo questo il testo verosimilmente posto alla base del suddetto vaglio comparativo, è convinzione di chi scrive che la conferma della concezione ontologica dell’uomo di estrazione liberale non fu evinta dalla comparazione dei criteri oggettivi e soggettivi d’imputazione del fatto reato poiché se, per un verso, le affermazioni di adesione alla teoria della volontà e sin anche la chiara presa di posizione del Guardasigilli nei confronti del dolo indiretto vengono espresse con tanta enfasi e chiarezza nella relazione al codice, per altro verso, le stesse non si tramutano poi in azioni concrete, visto che il nostro codice penale, subito dopo aver disciplinato i criteri d’imputazione oggettiva del fatto reato, al successivo articolo 42 enuclea quelli d’imputazione soggettiva, i quali assolutamente deviano dagli enunciati di principio contenuti nella relazione, trovando fra essi collocazione anche la responsabilità oggettiva e la preterintenzione che, al di là delle posizioni della dottrina più accomodante, altro non è che un’ipotesi di dolo misto a responsabilità oggettiva.
Continua…
Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023
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