Segreti, timori e colpi di scena: un giorno di lavoro particolare
Di Francesco Cesare Strangio
La sveglia, come sempre, squillò puntuale alle sei e trenta del mattino. Salvatore, destatosi dal sonno, ebbe la sensazione che fosse passato un solo istante da quando si era addormentato. Mancavano pochi minuti per andare a lavorare. Il fratello si svegliò e chiese a Salvatore: «A che ora sei rientrato?»
«Non lo so!» rispose Salvatore.
«Erano le undici e tu non c’eri» osservò il fratello.
«Saranno state le undici e mezzo quando ho messo piedi in casa» rispose Salvatore.
«Questa mattina alle quattro mi sono alzato per andare in bagno e ho sentito il rumore di un’auto che veniva dalla parte del cascinale della cugina Lucia» disse il fratello.«Non hai visto di chi si trattava?» domandò sorpreso Salvatore.
«Stavo in bagno, ho sentito solo il rumore» ribatté il fratello.
Nell’apprendere quanto detto dal fratello, la cosa lo preoccupò; in ogni caso doveva aspettare la notte per recarsi dal sequestrato e portargli una lama di seghetto per il ferro.
Da fuori la voce di Marco lo destò dai pensieri. Preso il mangiare che tutte le mattine, alle sei, la madre le preparava e uscì.
Durante il tragitto per andare al cantiere, Salvatore raccontò a Marco l’esperienza di quella notte.
Marco rimase in silenzio ad ascoltare, alla fine disse: «Salvatore, quanto mi hai confessato è qualcosa d’indicibile. Se si dovesse sapere, Peppe l’assassino non ci penserebbe due volte a farti fuori» osservò Marco.
«Stai tranquillo, sei l’unica persona al mondo a saperlo: queste sono cose che non si possono raccontare neppure alla propria madre» rispose Salvatore.
«Mi compiaccio che ti sei reso conto della gravità» concluse Marco.Erano le sette meno dieci quando arrivarono sul posto di lavoro. Come sempre erano tutti presenti, compreso mastro Filippo.
Mentre erano intenti a lavorare, videro arrivare la camionetta dei Carabinieri. Salvatore sbiancò: la prima cosa che pensò, fu di essere stato visto da qualche pattuglia nascosta nei pressi del cascinale. Un brivido di freddo le attraversò la schiena da cima a fondo; non sapeva cosa pensare, il panico gli mandò fuori gioco la mente, a tal punto che iniziò ad architettare una scusa plausibile che giustificasse la sua presenza nei pressi del cascinale.
La prima cosa che gli passò per la mente fu di giustificarsi dicendo di essere andato a raccogliere i funghi. E chi l’avrebbe creduto? Quando mai si va a raccogliere i funghi all’una di notte? Non riuscendo a costruirsi un alibi, disse a Rocco che si assentava un minuto per andare al bagno: gli serviva del tempo per riflettere sul da farsi.
Posò la cazzuola dentro il secchio pieno di malta e fece per allontanarsi, quando udì: «Vieni qua.»
“Sono fottuto” pensò Salvatore. Il cuore pareva che gli volesse uscire dal petto; la frequenza cardiaca divenne forte fino a stringergli la gola; nel frattempo un groppo gli ostruì il passaggio dell’aria verso i polmoni.
Era il maresciallo in persona con due carabinieri. Salvatore rimase basito, le gambe gli divennero molli come fossero di plastilina.
Facendosi coraggio chiese: «Dice a me?»«No! Mi riferisco a Rocco Valpreda» rispose il maresciallo.
Salvatore, pur rimanendo sorpreso nel sentire il nome e il cognome di Rocco, si sentì sollevato. Ebbe la sensazione di essere stato liberato da quella grotta dove era tenuto prigioniero il sequestrato. L’arrivo dei carabinieri gli causò momenti di estrema paura, tanto che maledisse mille e una volta il momento che decise di recarsi al cascinale.
Mastro Filippo e il nipote salirono in macchina e seguirono la camionetta. Ci vollero oltre due ore prima che facessero ritorno al cantiere. Mastro Filippo era nero in faccia come il carbone. Il volto di Rocco aveva un’espressione diversa: pareva essere uscito da una festa.
Il gruppo dei discepoli era preso dalla curiosità di sapere la natura di quell’invito in caserma.
Cosimo si avvicinò a Rocco e chiese: «Che cosa volevano?»
«Vi racconto tutto a mezzogiorno, quando andiamo a prendere il caffè al bar dei Tagliaferro» rispose Rocco.
Mastro Filippo era muto, pareva avesse un morto in casa. Rocco, come se nulla fosse, prese a spruzzare intonaco a ritmo sostenuto. Gli altri, nel vederlo lavorare con un tale ritmo, si adeguarono. Marco guardò più volte Salvatore come se cercasse una risposta al comportamento di mastro Filippo e di Rocco. Quell’andata in caserma mutò l’umore del capo, mentre per Rocco tutto faceva brodo.
Era arrivata l’ora della pausa pranzo, come sempre il titolare se ne andò quando ancora mancava un quarto a mezzogiorno.
Gli apprendisti muratori, alla mezza in punto, si fermarono, presero i baracchini stracolmi di cibo e iniziarono a mangiare. Tutti aspettavano di sentire il racconto di Rocco a seguito dell’invito a presentarsi in caserma.
Rocco non aveva ancora finito di mangiare che, incalzato dagli amici, si trovò costretto a iniziare il racconto: «Mi hanno convocato in caserma, poiché pende su di me una denuncia per lesioni personali nei confronti di quel porco del compagno usciere. Quel bolscevico da strapazzo mi ha provocato e mi son visto costretto a dargliele di santa ragione.»
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