Modifica della Legge di Zaleuco: giustizia ed equità a Locri
La Repubblica dei locresi di Epizefiri
Di Giuseppe Pellegrino
Fu il magistrato eponimo che condensò in uno il parere di tutti, dicendo:
«Quando Dione è venuto a chiedere spiegazioni, con grande rispetto, sulla legge, io di impulso gli dissi che c’era del vero nella sua richiesta. Ora che ha esposto il suo caso e ha chiarito che egli non vuole che le leggi che Zaleuco ci ha dato siano cambiate, ma siano solo messe in miglior forma, al fine di impedire che qualcuno si avvantaggi della sua malvagità, io credo che non vi è oltraggio per lo Splendente a modificare la legge, poiché ciò viene fatto secondo il suo insegnamento. Se la Dàmos dissente da questa mia conclusione è pregato di manifestarla, così come è pregato di fare lo stesso chi ne acconsente.»
Così finì di parlare l’arconte, e la Dàmos fu tutto un mormorio di approvazione. Poi, in grande ordine, ogni polites si recò vicino all’urna e depositò una pietra. Nelle mani ne aveva due: una bianca e l’altra nera. La prima per voto di approvazione; la seconda per voto contrario.
Alla fine, fu fatta la conta con l’aiuto dei Proboloi e il risultato una acclamazione: nessuna pietra nera fu trovata; il popolo di Locri era favorevole alla modifica.
Dione all’inizio non capì, perciò per avere lumi si rivolse alla sola persona che aveva avuto un sorriso per lui, e che non conosceva, chiedendo:
«Dimmi, uomo, devo io preparami all’ultimo viaggio? Io non capisco la decisione della Dàmos.»«Oggi, Dione tu hai la prova che nel concetto di Zaleuco di legge vi era l’armonia necessaria per adeguare ai tempi ogni legge stabilita e permanente, perché ha previsto la legge, il sistema per tutelarla, ma anche quello per adattarla. Oggi, tu e io abbiamo avuto la prova che solo a Locri, in tutta l’Ellade, vi è certezza nelle leggi. Oggi, tu e io dobbiamo conservare il ricordo di questo avvenimento» rispose il vecchio alto e prestante, ma dai capelli e dalla barba grigia. Poi lo stesso uomo pensò forse di avere parlato troppo presto, poiché quel giorno, caso mirabile e straordinario, due cittadini chiedevano di modificarsi la legge.
Il magistrato eponimo nel frattempo aveva avuto modo di saggiare per intero il volere della Dàmos. Quindi, rivolto verso Dione, disse: «Da oggi la legge approvata e stabilita di Zaleuco di cavare un occhio a chi ne cavò uno a un altro, avrà la seguente integrazione: di cavarsi entrambi gli occhi se a chi ne cavò uno era cieco dell’altro.»
Poi rivolto verso il vecchio Dione, concluse felice:
«Tu sei libero di andare e sia scritto nelle nostre leggi che se taluno cavi un occhio a chi sia orbo di suo dell’altro, venga accecato. Così ha deciso la Dàmos.»
Questo il racconto non lontano dal vero e la norma che viene riportata, se non la forma, ha la sostanza per come riportata. Lo afferma Demostene e Stobeo. Anche Diodoro Siculo ne fa un resoconto, attribuendo la modifica alle leggi di Caronda. Peccato che di una simile norma non vi è traccia tra quelle riportate a lui attribuite. Così dice Diodoro: “C’era ad esempio una legge secondo cui chi se uno colpiva un uomo e gli cavava un occhio a sua volta gli venisse cavato un occhio. Ma un uomo che cavò l’occhio a un orbo venne privato della vista. Così egli riteneva che a cavargli a sua volta un occhio solo, il colpevole pagasse una punizione inferiore alla colpa, perché, avendo accecato uno dei cittadini, l’autore del fatto, se sottostava alla prescrizione secondo la legge, non era colpito da uguale sventura. Dunque, era giusto che a chi avesse privato della vista l’orbo da uno venissero cavati entrambi gli occhi, se doveva ricevere punizione equivalente. Perciò l’orbo in uno stato d’animo di grande dolore ebbe il coraggio di tenere un discorso all’Assemblea popolare riguardo alla propria sventura, e insieme lamentarsi dinnanzi ai concittadini della propria sfortuna e consigliava alla massa di emendare la legge: alla fine dopo che ebbe infilato il collo nel laccio ed ebbe avuto successo con la sua proposta, fece dichiarare illegale la legge esistente e confermare la legge emendata: così sfuggì alla morte col laccio.”