Costume e SocietàLetteratura

La dialettica tra Determinismo e Indeterminismo nel Diritto Penale

Le riflessioni del Centro Studi

Di Francesco Donato Iacopino – Avvocato del Foro di Locri

Essendo questa la concezione indeterministica dell’uomo si fa notare che, paradossalmente, essa coincide contenutisticamente con quella di uno dei pilastri portanti del pensiero occidentale, Aristotele, ovvero coincide col pensiero di un filosofo che, guardando al suo metodo di studio delle scienze empiriche, ben potrebbe rientrare tra la schiera dei deterministi, dai quali si distingue soltanto per l’approccio alla materia: lui parte dall’effetto per risalire o determinare la causa, non viceversa.
Aristotele, infatti, nella sua Etica Nicomachea, studiando col suddetto metodo empirico attorno al come, al perché e alle conseguenze (morali e giuridiche) delle azioni umane, in netta contrapposizione con la concezione platonica di un uomo che, disponendo della capacità di discernere tra giusto e ingiusto, propende sempre per il bene, agendo male solo in presenza di stimoli malvagi (cupidigia, collera, e così via), afferma che una cosa è discernere il bene dal male (rectius = rappresentarsi mentalmente le conseguenze le possibili azioni e le loro conseguenze) altra cosa è determinarsi al bene (rectius = scegliere se compiere l’azione giusta o non compierla). Concezione, questa, che, oltre a presupporre il libero arbitrio, introduce nello scenario giuridico, tra le altre cose, quel moderno concetto di Dolo che poi porterà alla contrapposizione dialettica fra fautori della teoria della rappresentazione e sostenitori di quella della volontà.
In ambito squisitamente penalistico le speculazioni deterministiche e indeterministiche attorno all’essenza ontologica dell’uomo portano, necessariamente, a due contrapposte visioni del diritto penale, quindi all’ideazione di due contrapposti sistemi penali.
Per gli indeterministi giuridici o liberisti, partendo costoro dal presupposto ideologico del libero arbitrio o meglio dell’autodeterminazione umana, il diritto penale si sostanzia in una sorta di rimprovero giuridico (morale) al soggetto agente, ovvero l’aver egli agito con l’intenzione di compiere una determinata azione sapendola antigiuridica (Teoria della volontà); rimprovero giuridico che va anche a sostanziare e giustificare una concezione etico-retributiva della pena.
Pilastri portanti di tale concezione del diritto penale sono: la volontà libera e colpevole, essendo rimproverabile solo quelle volontà che si sostanziano in una violazione cosciente e volontaria di un precetto penale; l’imputabilità del soggetto agente, non potendosi parlare di volontà colpevole se il soggetto agente non ha la concreta capacità di intendere il valore etico-sociale delle proprie azioni e di determinarsi liberamente alla medesime, sottraendosi all’influsso dei fattori interni ed esterni.
Per i deterministi giuridici, i giuspositivisti, invece la norma, singolo mattone dell’edificio diritto penale, non può essere strutturata come un rimprovero al soggetto che si determina a violarla, rappresentando il reato l’esito delle influenze che su di esso hanno fattori fisici, antropologici e sociali, ovvero le leggi di causalità naturale, le quali relegano il libero arbitrio al rango di mera illusione. Conseguentemente, non essendo il soggetto agente libero di scegliere come operare, la pena non trova giustificazione e fondamento nel rimprovero sociale e nella necessità che il reo faccia ammenda per l’errore commesso, bensì nella pericolosità sociale del soggetto e nella consequenziale esigenza di tutela sociale (pena come difesa sociale). Pericolosità sociale che si manifesta già dal momento della mera rappresentazione degli effetti antisociali della condotta del soggetto agente, atteso che questi si determina all’azione pur avendone previsto i possibili effetti illeciti (Teoria della rappresentazione). Secondo tale concezione il diritto penale va inteso come un mero strumento di profilassi sociale e strutturato attorno alla personalità del reo e alla classificazione delle varie specie di uomo delinquente.
Emblematici di tale nuova e diversa concezione del diritto penale furono gli studi del padre dell’antropologia criminale, ovvero gli studi di Cesare Lombroso, il quale ritenendo di aver individuato degli elementi morfologici espressivi della personalità criminale, attraverso misurazioni antropometriche di diversi  cadaveri di carcerati, formulò quella che noi conosciamo come la teoria del delinquente nato, secondo la quale gli individuati e/o individuabili elementi morfologici criminali (tratti somatici o costituzionali) si sostanzierebbero in delle anomalie fisiche di natura atavica, a dimostrazione del fatto che la genesi della criminalità è da ricercarsi non in scelte libere di soggetti liberi, bensì in fattori individuali innati.

Continua…

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023

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