Salvatore e l’uomo in catene: una notte di segreti e pericoli
Storie d’altri tempi
Di Francesco Cesare Strangio
Salvatore seguì con l’orecchio quell’alito di voce che sembrava provenire da poca distanza, in realtà era lontana ben oltre rispetto a quanto immaginasse. Nel silenzio della notte i suoni si propagano con molta più facilità, giacché non sono disturbati dai rumori prodotti dalle attività umane.
Sembrava che non arrivasse più al punto di origine della voce. Dopo aver camminato ben oltre il previsto, notò la luce di una piccola candela, che sembrava una di quelle stelle lontane che a stento si riescono a vedere nel profondo buio dell’universo. Con passo felpato arrivò vicino alla grotta, attivò la torcia e la rivolse verso gli occhi dell’uomo in catene. La luce della torcia lo abbagliò, non riusciva a distinguere nulla, tanto che disse: «Per carità abbassa quella luce che mi sta accecando.»
Salvatore la spense e rimase a osservare l’uomo incatenato come un animale feroce.
«Chi sei?» domandò l’uomo in catene.
Salvatore non rispose, sia perché non sapeva cosa dire sia perché non voleva correre il rischio un giorno di trovarsi in un tribunale a rispondere per concorso in sequestro di persona.
L’insistenza dell’uomo portò Salvatore a mettere le dita e stringere le labbra quel tanto da deformare la voce. Si avvicinò ancora qualche metro, badando bene di non essere visto in faccia. Dalla grotta proveniva un fetore di escrementi e urina da mozzare il fiato. Ci volle un pò per abituarsi all’odore nauseabondo, poi Salvatore rispose al sequestrato: «È bene che tu sappia che io non c’entro un bel niente con il sequestro. Mi trovo qui spinto dalla curiosità, in quanto l’altro giorno da lontano ho visto quattro uomini che ti accompagnavano nel bosco con la catena al collo.»
«Aiutami a scappare!» chiese il sequestrato a Salvatore.
«Come faccio ad aiutarti?» rispose Salvatore.
«Non hai niente con te per liberarmi da questa maledetta catena?» domandò l’uomo incatenato.
«Non ho nulla che possa rompere un anello della catena». Rispose Salvatore.
«Procura qualcosa come una lima, così in una notte riesco a tagliarla; e prima delle luci dell’alba avrò abbandonato questo inferno.»
«Da quanto tempo ti trovi in queste condizioni?» chiese Salvatore.«Con oggi faccio sei mesi da quando mi hanno sequestrato» rispose, con voce rassegnata, l’uomo in catene.
«Domani notte, se tutto va bene, ti porto una lama di seghetto per il ferro. La cosa che ti raccomando è di non lasciare nessuna traccia che possa fare pensare ai sequestratori che tu abbia avuto un aiuto esterno». Disse Salvatore.
«Te lo prometto sulla Madonna che mai nessuno saprà della tua presenza, tantomeno lascerò tracce tali che possano far pensare ai sequestratori che sono stato aiutato» s’impegnò, con giuramento solenne, il sequestrato.
«Un’altra cosa: devi promettermi di non indicare il posto dove sei stato tenuto, perché potrebbe pagare le conseguenze il proprietario del bosco, che di questa storia non ne sa niente.»
«Stai tranquillo, agli inquirenti dirò di aver girovagato per tutta la notte e di non riuscire più a raccapezzarmi dov’ero.»
Salvatore lo salutò e promise di ritornare la sera successiva.
Sulla via del ritorno, Salvatore aveva la sensazione di essere seguito. Di tanto in tanto si fermava e si girava di scatto: niente, nessuno lo seguiva. Arrivato al cascinale, con passo felpato, andò alla finestra di prima per sbirciare dentro e vedere cosa stesse facendo Peppe l’assassino: era girato di fianco con le spalle rivolte alla finestra. Peppe l’assassino si girava di continuo, come se fosse aggredito dalle pulci.
Quando nel girarsi, voltò le spalle alla finestra, Salvatore mosse verso il posto in cui aveva nascosto la bicicletta.
In lontananza, i fari di un automezzo fendevano il buio. Le luci erano sufficientemente lontane ma, per evitare di essere visto, Salvatore iniziò a correre. Arrivato dove aveva lasciato la bicicletta, si nascose dietro all’anfratto in attesa che passasse l’automezzo che aveva visto arrivare. In poco meno di due minuti, l’auto superò velocemente la sua postazione, lasciando dietro di sé un nuvolone di polvere. Dall’auto scesero due persone ed entrarono nel cascinale. Salvatore, dopo essere rimasto nascosto per un pò, uscì con la bici, saltò sopra e si mise a pedalare con tutta la forza che aveva in corpo: non vedeva l’ora di allontanarsi il più possibile, in modo da evitare il rischio di essere visto dai sequestratori. La velocità della bicicletta era tale che dava la sensazione di volare oltre l’orizzonte del cosciente, spinta dal vago terrore dell’ignoto che è peggiore della morte stessa. Finalmente, arrivato alla sua dimora, Salvatore guadagnò la sua camera, passata l’una di notte: i due fratelli dormivano a sonno pieno, tanto che non si avvidero né dell’uscita, né dell’arrivo di Salvatore. La madre e la sorella stavano nella propria camera con la porta socchiusa, da dove proveniva un leggero suono generato dall’abissale stanchezza della madre.
Salvatore si liberò degli indumenti e scivolò sotto le lenzuola, in attesa del nuovo giorno.