Biden si ritira: come cambia la corsa per la Casa Bianca
Pensieri, parole, opere… e opinioni
Nelle ultime settimane ho finito con il dedicare spesso questa rubrica a fatti non propriamente attinenti non solo con la Locride, ma neanche con il nostro Paese. Chiedendo venia ai nostri affezionati lettori e ai miei collaboratori, ai quali mi ostino a fare una testa così relativamente all’aspirazione localistica della nostra testata salvo poi arrogarmi il diritto di fare di testa mia, intendo effettuare lo stesso tipo di operazione anche nell’occasione odierna, non tanto perché nel nostro territorio non si stiano verificando accadimenti degni di nota ma, piuttosto, perché ciò che sta accadendo all’estero è quasi certamente destinato ad avere ricadute anche sul nostro futuro. Pertanto, dopo la svolta a gomito delle elezioni francesi che lasciano intravedere una luce in fondo al tunnel per i moderati del Vecchio Continente e dopo l’attentato fallito al candidato a Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, anche questa settimana voglio mettere un piede fuori dall’Italia per raccontare di una domenica destinata a entrare nei libri di storia.
La nostra meta sono nuovamente gli Stati Uniti, dove la corsa per le presidenziali, che mi aveva appassionato così solo nel 2008, ci ha riservato un nuovo coup de’ théâtre che potrebbe non rendere più tanto scontata la vittoria plebiscitaria del candidato repubblicano.
Il presidente uscente Joe Biden, sabato sera, insieme ai suoi principali collaboratori Steve Ricchetti, capo della strategia della Casa Bianca, e Mike Donilon, consigliere anziano ha infatti preso la decisione storica di ritirare la sua candidatura alla Casa Bianca nonostante fino a qualche ora prima avesse affermato che la campagna elettorale procedeva «a tutto vapore». Non sono riuscito a comprendere con precisione quali siano stati i dati che hanno concorso al suo cambio di prospettiva ma, da informazioni raccolte qui e là, all’origine della sua decisione di rinunciare figurerebbe la ricezione di “informazioni preoccupanti” relative soprattutto all’indice di gradimento da parte degli elettori, che indicavano sempre più nettamente l’impossibilità di una vittoria.
Ricchetti, che lavora con Biden dai tempi del Senato, e Donilon lo hanno incontrato a casa sua nel Delaware. I due avrebbero presentato gli ovviamente schiaccianti dati raccolti in seguito all’attentato a Trump e riportato le preoccupazioni dei parlamentari democratici relativi a una vera e propria battuta d’arresto relativamente alla raccolta fondi per la campagna elettorale. Da questo incontro cataclismatico, la decisione di un Biden (in questi giorni tra l’altro provato dal Covid-19) di porre fine non solo alle sue aspirazioni da presidente, ma alla sua intera carriera politica, maturata al culmine di una notte di passione culminata, la domenica mattina, in una comunicazione formale ai suoi più stretti collaboratori e la pubblicazione di lettera di ritiro sui social media.
Netta la presa di posizione del presidente uscente, che sostiene la candidatura a suo successore della vicepresidente Kamala Harris, nata a Oakland da madre indiana, immigrata da Chennai, e padre di origine giamaicana, laureata all’Howard University e all’Hastings College of the Law di San Francisco e prima donna a esercitare temporaneamente le funzioni di presidente degli Stati Uniti, sulla quale tuttavia gli stessi democratici hanno espresso delle riserve e la cui candidatura, stando ai sondaggi, sarebbe stata accolta tiepidamente dall’elettorato.
Trump, appresa la notizia, ha affermato che sarà per lui addirittura più semplice batterla durante le elezioni di novembre, ma resta il fatto che da quando la Harris ha lanciato la sua candidatura, i democratici hanno raccolto 46,7 milioni di dollari da piccoli donatori, dando nuova linfa vitale a una campagna che sembrava inizialmente destinata a morire con Biden. Che il clima sia diventato maggiormente teso lo dimostrano, in effetti, le nuove dichiarazioni del candidato repubblicano, che ha sostituito l’iniziale spavalderia con l’invettiva secondo la quale il suo partito dovrebbe essere rimborsato per le spese sostenute nella campagna elettorale, accusando Biden di frode per essersi ritirato. Oggetto del contendere, lo stato di salute dell’81enne esponente democratico che, tuttavia, il partito ha sottolineato non essere stata la vera discriminante del suo ritiro.
La dialettica con gli avversari, comunque, non dovrebbe essere la principale preoccupazione dei democratici, che adesso si ritroveranno a dover fare i conti, piuttosto, con la decisione di sostenere fino in fondo Harris, oppure andare a pescare tra i suoi esponenti un candidato forte e benvoluto dall’elettorato che possa seriamente mettere in discussione le aspirazioni del martire Trump.
Il tempo non gioca a favore dei democratici: a novembre, infatti, mancano poco più di tre mesi e, a mia memoria, mai nella storia degli Stati Uniti si era dovuto sostituire in corsa un candidato a presidente a così poco tempo dalla chiamata alle urne ma, quale che sia la decisione del partito, la strada che eravamo convinti avesse preso Trump per la Casa Bianca pare all’improvviso essere tutt’altro che in discesa…
Foto di Lawrence Jackson, Pubblico dominio