Costume e Società

Dalle stelle al cuore: il paradosso dell’umanità tra conquiste ed empatia

Di Domenico Correale

Le stelle che sono sopra di noi sembrano quasi irraggiungibili, eppure siamo riusciti a toccare la Luna. Con il nostro genio abbiamo superato la velocità di un falco, con le nostre mani siamo riusciti a costruire imponenti strutture, come le dighe, riuscendo così a dominare l’acqua, eppure…
Eppure non siamo riusciti ancora a controllare noi stessi, a dare delle spiegazioni, che siano pari a quelle di Albert Einstein per l’universo, sul perché a volte vogliamo piangere, o ridere, o persino morire. A volte desideriamo l’autodistruzione, anche inconsciamente, con i più piccoli gesti, riusciamo a danneggiare noi stessi, persino l’uomo più felice sulla terra porta con sé un desiderio distruttivo nei propri confronti.
La nostra mente è ancora un mondo a noi ignoto, che porta sogni così vividi e chiari che vengono contrastati da altrettanti sogni di egoismo e avidità ma, alla fine, ciò che togliamo agli altri, viene tolto a noi. Non si parla di soldi, o oggetti materiali, ma di emozioni. Fare del male a un altro essere vivente (e non solo a un uomo), ci porta a perdere qualcosa dentro di noi: si rompe un legame puro che si era creato fin dalla nostra nascita, e che ci lega agli altri, perché ancora oggi, dentro di noi, portiamo uno dei sentimenti più profondi e onesti che siano mai esistiti: l’empatia.
Molti potrebbero dire che mi sbaglio, che sia l’amore il sentimento più onesto, ma come si può provare amore senza prima conoscere le sofferenze che affliggono il prossimo?
L’empatia è il motore che ci consente di apprendere cosa stiano provando gli altri. In un piccolo villaggio sperduto nella storia, gli uomini trovavano un lupo, lo vedevano ferito, e sapevano quale dolore stesse provando quell’animale, magari non con la stessa intensità o paura, ma provavano a immaginarlo, e i due, benché di razze differenti, riuscivano a comprendersi. Oggi, invece, se un uomo vede un animale ferito per strada, ci passa sopra con la macchina per porre fine alle sue sofferenze, anche se non in carreggiata. Scambiamo l’empatia con la pietà, e quindi pensiamo di essere migliori di chi abbiamo davanti, pensiamo alla povertà di quella persona che ci ritroviamo fuori dal supermercato a chiedere le monetine ma non a ciò che potrebbe provare in quel momento, se vergogna o tristezza. Siamo sicuri che quell’individuo abbia abbandonato ogni forma di dignità e abbia perso lavoro e soldi per la sua pigrizia o per sfortuna, e lo crediamo per un desiderio personale di sentirci migliori, ma visto che utilizziamo parole tristi e parliamo in modo cupo e lento, pensiamo di provare pietà. Non riusciamo a immaginare quel dolore, perché non possiamo e non lo abbiamo provato.
Prima che tutti potessero aspirare a un sogno, come toccare le stelle, eravamo tutti allo stesso livello, adesso nasciamo in contesti così diversi che è impossibile persino sognare in grande: chi è più ricco può pensare di volare e chi è più povero può permettersi solo di correre via dalle bombe che gli cadono sopra la testa, eppure in alcuni il sogno è così focoso che infiamma i cuori di chi lo guarda andare avanti per prendersi la sua vittoria, e quella è l’unica forma pura di empatia che possiamo provare oggi, ma che difficilmente riusciamo a ricevere, perché siamo accecati dalla gelosia e dal senso di incompiutezza che proviamo nel veder vincere gli altri. Siamo stati in grado di trasformare il più puro sentimento che ci legava agli altri in un moto per le nostre battaglie interiori, che si riversano poi sugli altri, e tutti si guardano con sospetto, tutti cercano di trovare una bugia che il più delle volte non esiste a dispetto di quanto lo desideriamo, così da poter giustificare i nostri comportamenti autodistruttivi.
Siamo riusciti a volare in alto nel cielo e ancora più su fino a toccare la Luna, ma ancora non abbiamo nemmeno sfiorato il nostro cuore, per poterlo aprire agli altri.

Foto di form PxHere

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