Costume e Società

I rischi della sostituzione della prova tipica con quella atipica a garanzie contratte

Le riflessioni del Centro Studi

Di Giuseppe Gervasi – Avvocato del Foro di Locri

Mentre per il riconoscimento fotografico le operazioni sono affidate al buon senso dell’operatore di turno e alla sua capacità di non comprometterne la genuinità in vista del futuro dibattimento, la ricognizione personale deve essere effettuata con modalità tassative, a pena di nullità.
Mentre nell’identificazione fotografica la scelta delle effigi e la loro collocazione sequenziale è affidata al libero arbitrio dell’operatore, al quale non è imposto né di farsi descrivere preventivamente le fattezze fisiche della persona da riconoscere, né di chiedere alla persona informata dei fatti se ha già effettuato questo tipo di operazione o se ha già visto la persona da riconoscere, la ricognizione personale presuppone tutto questo a pena di nullità.
Si coglie in questo la notevole differenza tra le due forme di ricerca della prova.
La disciplina delle ricognizioni pare orientata all’accuratezza e analiticità, soprattutto in relazione agli adempimenti preliminari, scelta legislativa che sottolinea una certa diffidenza del legislatore verso l’attendibilità dei risultati di tale delicato mezzo di prova.
In effetti, la sequenza imposta dall’articolo 213 del Codice di Procedura Penale sulle rigide modalità con le quali la ricognizione personale deve avvenire, non sembra prestare il fianco a diversa interpretazione.
La diffidenza del legislatore non sembra essere riuscita a frenare la dirompente ascesa della identificazione fotografica nel panorama dei mezzi di prova, finanche a rilegare nel dimenticatoio la ben più garantista ricognizione personale. Operazione avvalorata da quella giurisprudenza di legittimità che, a più riprese, non ha mancato di rimarcare come rispetto alle modalità di formazione dell’album, di scelta delle immagini effettuata dalla polizia giudiziaria, su cui viene operato il riconoscimento e per le modalità dello stesso, non viene in considerazione una questione di legalità della prova, giacché la relativa forza probatoria non discende dalle modalità formali, bensì dal valore della dichiarazione confermativa e quindi dalla credibilità della deposizione dibattimentale, al pari di quella testimoniale.
Il principio non è condivisibile e si presta a qualche osservazione. Intanto non è ben chiara la necessità di sostituire la prova tipica con una prova atipica con garanzie difensive a ribasso; per altro verso, la conferma in dibattimento delle operazioni di identificazione fotografica effettuate nella fase delle indagini preliminari, lascia aperte le problematiche inerenti l’affidabilità della prova, che la tipizzazione codicistica aveva inteso superare.
In diverso modo, se la diffidenza ha spinto il legislatore a focalizzare la sua attenzione sulla fase preparatoria delle operazioni di ricognizione personale, attraverso un meccanismo finalizzato a preservarne la genuinità, può voler significare che proprio in quella fase risultano concentrarsi i maggiori pericoli di inquinamento probatorio.
Sono queste le ragioni che rendono incomprensibile la scelta di operare in senso perfettamente contrario, senza pretendere, quanto meno, che le metodiche imposte per la ricognizione personale valgano anche quale parametro di riferimento per l’individuazione fotografica.
Recenti studi empirici, hanno dimostrato come l’identificazione dell’autore di un reato risulta particolarmente influenzata da vari fattori, quali la distanza, le informazioni ricevute post-evento, ovvero dalla tendenza a indicare persone di diversa etnia rispetto a colui che esegue il riconoscimento, ovvero ancora dalla tendenza a indicare il soggetto che più assomiglia al ricordo del colpevole o anche a una persona già vista.
È altrettanto noto come il testimone difficilmente sarà in grado di spiegare concretamente le ragioni di una sua eventuale ritrattazione dibattimentale, dettata dal miglioramento del suo ricordo magari per la presenza dell’imputato, se non altro per avere firmato un verbale di identificazione attraverso il quale, in dibattimento, si è soliti ricordargli le conseguenze per chi rende falsa testimonianza.
Fattori questi che dovrebbero indurre la giurisprudenza di legittimità a rivedere le proprie posizioni eccessivamente permissive sulle modalità di identificazione fotografica, risultando non particolarmente complesso utilizzare effigi chiare, recenti e di persone il più possibile somiglianti, ovvero chiedere all’informatore di descrivere preventivamente le fattezze fisiche dell’autore o di dettagliare le condizioni di avvistamento o la distanza che intercorreva tra lui e la scena criminis.
Accorgimenti sostanziali in grado, quanto meno, di limitare i rischi connessi all’espletamento dell’atto istruttorio, e anche di rendere omogenee le due modalità di riconoscimento.

Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023
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