Il mito di Apollo ed Ermes: lezioni antiche sulle norme contro il furto
La Repubblica dei locresi di Epizefiri
Di Giuseppe Pellegrino
Le norme relative al furto si possono ricavare dal mito di Apollo ed Ermes. Ognuno sa che Ermes ruba i buoi ad Apollo, ma per non farsi scoprire li fa camminare all’indietro, mentre egli cammina con ai piedi con una sorta di racchetta ante litteram. Non manca la minaccia a un vecchio incontrato per strada, al quale intima: «Ricordati che sei cieco a quello che vedi e sordo a quello che senti; taci!». L’intimazione non deve avere sortito un grande effetto se Apollo, interrogando il vecchio, capisce chi è il ladro, tanto che al mattino va dal Dio bambino. Secondo la normativa greca, il derubato ha diritto di perquisizione ed il presunto ladro non si può opporre, se vuole dimostrare la sua innocenza. Apollo fruga dappertutto, ma non trova niente. Dal Mito sappiamo quali sono le condizioni per la perquisizione. Allorché Apollo porta Ermes davanti a Giove: si tratta di un giudizio privato e non di natura pubblica. Qui accusa il giovane Dio di furto. Ermes si dichiara innocente, e accusa Apollo di avere violato la legge: egli si è presentato nella sua dimora senza testimoni; e durante la perquisizione ha profferto minacce nei confronti del Dio-bambino. A Ermes viene deferito l’interrogatorio. E il furbo ladro giura di non avere portato mai nella propria grotta alcuna giovenca. Il che è vero, ma non nasconde il furto. Zeus ride di gusto. Non pronuncia alcun giudizio che nessuno, peraltro, gli aveva chiesto, ma ugualmente intima a Ermes di restituire i buoi. Ermes, ubbidisce e come riscatto morale regala ad Apollo una cetra costruita con le sue mani con un guscio di tartaruga.
Dall’insieme si può ricavare: l’azione per il danno di furto è un’azione privata; il derubato può chiedere la perquisizione della proprietà del presunto ladro ma alla presenza di testimoni idonei e senza interesse diretto; la perquisizione deve essere fatta senza intimidazione di alcun genere. Se alla fine il derubato trova la refurtiva in casa del ladro, ha diritto di tenerlo prigioniero e chiedere un riscatto e, se non pagato nei tempi stabiliti dal derubato, questi poteva anche uccidere il ladro. In alternativa, il derubato può chiedere al giudice pubblico una sentenza; il giudice si pronuncia nell’ambito di una contesa civilistica. Dracone non cambiò nulla della tradizione; forse limitò solo il diritto di detenzione.
Così Esiodo nel tramandare il giudizio per furto:
E poi, Giustizia c’è, la vergine nata da Giove,
degna d’onore, e onorata dai Numi che reggon l’Olimpo
E quando alcuno danno le reca, oppur subdolo oltraggio,
súbito presso a Giove Croníde si reca, e a gran voce
scopre degli uomini ingiusti le brame; e il popolo sconta
le sciagurate follie dei re, che con mente funesta
svïano la Giustizia, pronunciano ingiuste condanne.
Pensate a ciò, tenete Giustizia sul retto cammino,
sovrani ingordi, v’esca di mente l’iniquo sopruso:
l’uomo che ad altri appresta malanni, li appresta a sé stesso:
primo per chi l’ha dato, funesto è il cattivo consiglio.
Ché tutto vede l’occhio di Giove, ché tutto comprende.
Ed anche qui, se vuole, vede ora; né punto gli sfugge
quale giustizia racchiuda la nostra città fra le mura.
Oh, d’esser non m’avvenga fra gli uomini giusto, a mio figlio
deh, non avvenga mai! Ché l’essere giusto è un malanno
se dalle liti uscire dovrà vincitore il briccone.
Ma io non vo’ pensare che possa concederlo Giove.
Le conclusioni sono ovvie. Certamente la pena per i ladri a Locri è severa, ma è unica la pena e non lasciata al libero arbitrio di nessuno. La procedura contro Ermes e contro i ladri in genere, doveva essere uguale in tutta la Grecia, Locri compresa. Ma di sicuro non era nella facoltà del derubato tenere prigioniero il ladro. Tuttavia, quella della perquisizioni in presenza di testi idonei (30-35 anni) ed estranei alla contesa, come pure il divieto di fare minacce, doveva essere vigente.
Ma a Locri la Giustizia è affare della polis, non una questione tra privati. Il Giudice è terzo, e non è ammessa riduzione in schiavitù, neppure in modo temporaneo. Si pensi che il ladro nella potestà del derubato, poteva anche essere suo schiavo, se non vi era limite al periodo di detenzione.
La ratio per una pena così grande si trova nel fatto che di norma oggetto del furto è il bestiame, che fa parte del Klèros, e della sua ricchezza. Difficile un furto di altro genere, perché le case dei Locresi non avevano ricchezze.
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