Costume e SocietàLetteratura

Le leggi locresi e il furto: un’analisi comparativa tra Antico Testamento e legislazione greca

La Repubblica dei locresi di Epizefiri

Di Giuseppe Pellegrino

La norma è secca e senza ambiguità, ma nel testo originale non doveva essere così; mai nelle norme locresi si accennava alla morte ma alla pena del laccio. Così deve essere stato anche per la norma di cui sopra che va letta nel modo seguente: Condannarsi il ladro alla pena del laccio. Non è una pura formalità, se si legge quanto scritto sulla supposta tendenza a Locri ad applicare la pena del laccio. Il che fa deporre per una disposizione legislativa da attribuire a Zaleuco. Tuttavia, detta non sembra essere caratterizzata dalla legge del contrappasso (il brokòs) che sottende a ogni repressione di un reato. Non influisce tanto il valore del bene tutelato per come concepito dai greci e dai locresi in particolare. Non era prevista alcuna aggravante, né attenuante come la tenuità del danno, perché si puniva l’azione in sé: rubare significava violare il bene valore della polis che era il rispetto delle leggi e della proprietà.
Non bisogna nascondersi che quella del furto (di bestiame in genere e difficilmente di altro) era un reato non solo molto comune, ma che poteva portare a conseguenze piuttosto gravi anche (e soprattutto) nella gestione del klèros, in quanto le mandrie appartenevano ai fondi. Per cui la previsione di un danno tenue era solo astratta, in quanto vi era sempre un danno grave, sia se si sottaresse un capo di bestiame sia una mandria.
Su tale punto è bene fare due richiami per la comparazione, poiché la norma può sembrare una crudeltà tipica della legislazione locrese: il primo richiamo, in ordine alla consuetudine presso gli ebrei, sul presupposto che la similitudine con le leggi semitiche è costante nella legislazione zaleuchiana; il secondo alla punizione del ladro secondo i greci e, in particolare, nella Legislazione di Dracone.
Presso gli Ebrei il divieto è secco come nella legge locrese: Non rubare. Qualcuno fa anche riferimento al divieto di non desiderare la donna di altri e non desiderare la roba di altri. Il secondo può essere solo un presupposto logico-religioso; il primo tutela un bene diverso.
Ricordando che i Dieci Comandamenti non indicano espressamente la sanzione per ogni violazione del precetto, ma che è possibile ricavarla dall’insieme e nell’ambito dei tre tipi di pena concepiti dall’Antico testamento: la morte, l’esclusione dalla comunità e la pena pecuniaria. Qualcuno sostiene che nel Pentateuco non manca neppure l’idea della pena accessoria, richiamando la consuetudine di impiccare l’ucciso in forma pubblica, come deterrente per chi pensava di commettere delitti. Più che una pena accessoria, era una pubblica gogna con finalità, certo, deterrenti. Non altro. Per quanto riguarda l’interpretazione fatta di esclusione dalla comunità, come una forma di detenzione, anche questa è destituita di fondamento. La presenza di case di detenzione era semplicemente una spesa non sostenibile per una città, vuoi per le spese di costruzione, vuoi per quelle di custodia dei detenuti. Semplicemente, era l’esilio, che poteva essere comminato per qualche anno o per sempre.
Nel Pentateuco sono previste due tipi di pena pecuniaria: l’ammenda e l’indenità. La prima sembra ispirata a criteri di umanità, anche con limiti posti dalla legge. La seconda era ispirata alla proporzione tra danno e sanzione da versare. E tuttavia queste previsioni (ammenda e indennità), come quelle successive, sono sicuramente di epoca molto tarda, rispetto agli inizi del dell’Antico Testamento.
La Bibbia, in caso di furto o di danno alla proprietà in genere, prevedeva un risarcimento da due a cinque volte il danno arrecato. Laddove possibile, una sanzione civile di restitutio in integrum, risarcendo il danno provocato mediante la restituzione del maltolto, in una misura però sempre superiore, dalle due alle cinque volte (Esodo 22:1-15).
Diversa la sanzione nel caso che “Se il ladro, colto nell’atto di fare uno scasso, è percosso e muore, non vi è delitto di omicidio” (Esodo 22:2).Trattasi chiaramente di omicidio legittimo e non è escluso che la norma sia ispirata dalla legislazione di Dracone della quale si parlerà in seguito.Nella legislazione di Dracone, il derubato diventa padrone del ladro con diritto di uccisione; nella pratica lo teneva prigioniero fino al pagamento di un riscatto, di norma molto congruo. Il tutto nell’ambito di una giustizia privata. La Legislazione di Dracone non innova né in peggio né in meglio la tradizione greca in materia di furto.

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