L’effetto giuridico, eterno e provvisorio: il pittore calabrese Mattia Preti
Le riflessioni Del Centro Studi
Di Domenico Bilotti – Docente di Diritto e Religioni ed Enti ecclesiastici, Enti non profit e attività culturali presso l’Università Magna Græcia di Catanzaro
La vita umana ha bisogno di ossigeno e idrogeno. Senza aria e senza acqua si morirebbe. Esattamente come l’essere umano, il diritto, che ne è uno dei più tipici prodotti, ha identicamente bisogno di un fondamentale tessuto intercellulare che lo nutra e governi: il tempo. Il diritto ha infatti un tempo di scadenza, che può essere dettato da fenomeni diversi (l’abrogazione di una norma, la sua disapplicazione nel tempo, la desuetudine in assenza di abolizione formale). E ha anche un tempo minimo, necessario affinché l’atto o il fatto dispieghino gli effetti loro propri. È curioso notare che né la legislazione né la dottrina (e tantomeno la giurisprudenza) si siano mai diffuse nel fornire una definizione univoca di effetto, preferendo, per così dire la sua fenomenologia alla sua ontologia. Eppure, senza saper cosa sia l’effetto, ci sfugge la vera essenza della giuridicità, la sua tipica cifra distintiva. È come procedere nella geometria euclidea senza riconoscere il segmento, quella porzione distintiva che sola si presta alla finitezza misurabile, a differenza di retta, punto e semiretta.
L’effetto somma l’eterno e il transitorio, il mutato e l’immutabile. Ha qualcosa di ineliminabile anche quando si ritorna al pristino stato (serve un’azione specifica: un annullamento, una revoca, un sindacato) e contemporaneamente è inafferrabile, sempre a propria volta modificabile e implementabile. Esiste un pittore che abbia dato sostanza visiva a questa ovvia constatazione ermeneutica?
Gli ottantasei anni di Mattia Preti (1613 – 1699) sono un monumento testimoniale al XVII secolo, oltre che a una civiltà del diritto e della cultura. È indiscutibile che il nostro sia ovunque valga la pena essere. Nella Roma delle commesse ecclesiastiche, che tuttavia, in un clima assolutamente profano di corruttele e intrighi, cerca di issarsi (riuscendoci) ad antichi splendori. Nel Modenese della provincia ora ducale, ora post-guelfa, ora post-ghibellina, ma vera base dell’unica oggettiva identità italiana: quella operosa creativa, territoriale-locale. Nella Napoli seicentesca di luci e ombre, ma che sa trascinare anche nei due secoli a venire una mentalità, un’idea dell’estetica, oltre che della politica, come ebbe a notare il grande storico delle arti e del pensiero simbolico Sergio Givone. E infine a Malta, che ovviamente non è soltanto Malta, ma una intera antropologia del governo isolano: dominale e cortigiana, ma anche periferia contestuale. Terra di esperimenti e sentimenti. Malta in scia con Rodi, ad esempio. Forse, di là dalle ideologie, più Venezia che Cipro, più Toledo che Lione.
Né va dimenticato che, oltre alle provenienze, certificatissime e inoppugnabili, da Taverna, Mattia Preti ha anche uno spicchio di prima attività calabra che dice tanto della nostra regione.
Ne racconta la collocazione strumentale e provvisoria sulla mappa degli interessi del più forte, ma anche un reticolato di competenze, creazioni, manifatture, sapienze, che altrove sarebbe valso una miniera. Il Preti calabrese, meno studiato, ora più a impronta e ora invece più didascalico, ci indica pure la condizione difficile dell’aver talento in larghi mondi affettivi che diventano (non sempre e certo sovente) improduttivi alla ragione, alla nomea, all’influenza.
Continua…
Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 18/11/2023