La Convenzione dell’Aja sulla salvaguardia dei beni culturali in caso di conflitti
La tutela penale dei beni culturali
Di Francesco Donato Iacopino, Emanuele Procopio, Giovanni Passalacqua ed Enzo Nobile
Il periodo a cavallo tra la fine del XIX Secolo e la prima metà del XX è caratterizzato dallo scoppio di reiterati conflitti bellici tra gli Stati [sfociati anche in ben due conflitti mondiali] e per l’impiego di armi con crescente potenziale distruttivo.
Guerre che, giocoforza, hanno comportato la perdita definitiva di beni culturali di impareggiabile e insostituibile valore.
Tuttavia, considerato il fatto che la sensibilità dei popoli verso l’importanza dei beni culturali si era nel frattempo evoluta, vi furono, antecedentemente al primo conflitto mondiale e fra le due grandi guerre, seri tentativi di introduzione di regole a tutela dei beni culturali per il caso di conflitti armati fra popoli (Convenzioni del 1889, del 1907 e Convenzione di Washington del 1935).
Tentativi che però non preservarono tutti i beni culturali dalla distruzione, per come dimostrato dalle devastazioni operate dai massicci bombardamenti aerei avvenuti in particolare nel secondo conflitto mondiale.
Fortunatamente, nel nostro Paese i bombardamenti hanno prodotto danni limitati per la lungimiranza dei governati e soprattutto per la sensibilità artistica di due militari graduati tedeschi, grazie ai quali avvenne un accadimento storico noto ai più come Il miracolo di Cassino.
Difatti, nel luglio del 1943, ovvero quando si intensificarono i bombardamenti angloamericani sul suolo italiano, si decise di spostare i principali beni culturali dalle città di Roma e Napoli, esposte a rischio bombardamento, verso il monastero di Montecassino, in base alla convinzione che i bombardamenti non avrebbero interessato il Cassinate: previsione che si rivelò infondata.
Si deve allora alla sensibilità di due graduati dell’esercito tedesco (il tenente colonnello austriaco Julius Schlegel e il capitano medico tedesco Maximilian Becker) la preservazione dei beni che erano stati collocati all’interno del monastero.
Costoro infatti, quando già erano iniziati i bombardamenti, si presentarono all’abate del Monastero, Monsignor Gregorio Diamare, convincendolo a condurre i beni da Cassino a Roma, così sottraendoli alla distruzione, destino invece toccato al monastero.
Non andò altrettanto bene per altri beni costituenti patrimonio culturale nazionale e mondiale, effettivamente devastati dai conflitti mondiali.
Tali drammatiche conseguenze ebbero però il merito di indurre le principali Nazioni coinvolte nei conflitti alla predisposizione di vincolanti regole d’ingaggio: esse vennero compendiate nella Convenzione dell’Aja del 1954, la quale, oltre a fornire una prima nozione di beni culturali, al suo articolo primo introduceva obblighi specifici per gli Stati aderenti.
Essa, tutt’ora in vigore, impone (tra l’altro) ai Paesi Membri di astenersi dall’utilizzo dei beni culturali, dei loro dispositivi di protezione e delle loro immediate vicinanze, per scopi che potrebbero esporli a distruzione o a deterioramento in casi di conflitto armato e da ogni atto di ostilità, vandalismo o rappresaglia a loro riguardo; disciplina la materia in caso di occupazione totale o parziale del territorio di altri Stati membri, imponendo l’appoggio all’azione delle competenti autorità nazionali i e l’adozione dei provvedimenti conservativi necessari; prevede la predisposizione, nell’ambito delle Forze Armate, di personale specializzato alla vigilanza dei beni culturali; istituisce un regime di protezione speciale per un numero limitato di rifugi destinati a proteggere beni culturali mobili in caso di confitto armato; prevede la predeterminazione di centri monumentali e altri beni culturali da considerarsi immuni rispetto a ogni atto di ostilità e di uso per fini militari.
La convenzione prevede, inoltre, la possibilità di sospensione dell’immunità in caso di violazione degli impegni da parte del Paese membro.
Considerata la complessità di attuazione della Convenzione, la sua stesura venne poi seguita da un protocollo, indicante le modalità operative per la gestione dei beni culturali ricadenti su territori occupati durante un conflitto armato.
Tratto da La tutela penale dei beni culturali, Key Editore
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