Le usanze funebri dei locresi e il furto del tesoro di Persefone
La Repubblica dei locresi di Epizefiri
Di Giuseppe Pellegrino
La legislazione di Solone riuscì a limitare sia il lusso degli apparati sia manifestazioni eccessive quali sacrifici di buoi, ma non quello di offrire il pane alle persone che partecipano al funerale, o l’uso di percuotersi la testa e il petto o di graffiarsi il volto o strapparsi i capelli o di non mangiare e bere solo acqua (ma a volte neppure quella) fino alla sera dopo la sepoltura. Si è aggiunto, però, l’uso di assoldare una Banda che suona musiche funeree.Il divieto non durò molto se Livio racconta il comportamento dei locresi quando, a seguito del furto del tesoro di Persefone, si recarono presso il Senato romano per lamentarsi dell’oltraggio fatto ad un Dio Femmina. Certamente fu uno dei primi precetti di Zaleuco a essere abbandonati con il tempo. Durò sicuramente quasi duecnto anni. Ma il Pianto greco era insito nella natura dei Greci, e a esso ritornarono presto.Così, nel romanzo Socii Navales, descrivo la presenza dell’ambasceria locrese al Senato Romano, ispirata a sua volta dalla descrizione fornita da Livio:
Vestiti di cenci sporchi, con l’aspetto squallido seppur fiero, dieci ambasciatori provenienti da Locri si avvicinarono all’adunanza con in mano ramoscelli di ulivo avvolti in bende di lana, come si addiceva ai supplici, memori delle antiche usanze greche. Con grida lamentose si prostrarono per terra con grande sbalordimento dei senatori che ignoravano l’uso. Fu Marco Valerio Levino che si avvicinò a loro e, pregandoli di alzarsi, chiese la ragione della loro presenza e della loro supplica. Fu Antipatro, àristos proprietario di terre e membro della Bolà a parlare a nome di tutti. La sua voce era ferma e sembrava che per molto tempo non fosse stata capace di pronunciare parola. Eppure il tempo in cui la freccia di Atreo aveva punito la sua malvagità non era lontano. Ma Asclepio aveva fatto il suo miracolo. Che era miracolo doppio; per la sua guarigione e anche per la conquista della fede. Ora, il locrese era a Roma anche per espiare, per cui la sua veste di supplice non era solo apparenza, ma era una forma nuova del suo sentire.
Così continua il capo delegazione nel perorare le ragioni dei locresi, per come, in modo testuale, ci riporta Livio. La sola differenza sta nel fatto che non è noto il nome del capo delegazione locrese, e quello di Antipatro è di fantasia sicuro, ma preso tra i nomi maschili usi a Locri.
«Noi siamo locresi, fieri di essere tali – disse, fermando il discorso, che non aveva senso compiuto, per l’emozione – E poi – continuò, – fieridell’amicizia dei Romani del cui titolo di socii ci onoriamo. Ma ognuno di noi pensa che un alleato debba essere trattato con la dignità che gli spetta e non come un nemico. Abbiano patito a opera del luogotenente di Roma Quinto Pleminio offese che non possono far dormire la notte nessuno e che nessun romano avrebbe inflitto neppure a un nemico cartaginese. Noi, oggi, vi chiediamo di essere ammessi al Senato per poter piangere davanti ai patri coscritti le nostre disgrazie e il nostro dolore.»
Il divieto, dunque, durò solo per la durata delle leggi. L’episodio narrato si svolge nel 205 avanti Cristo. Solo per amore di verità, per tutti gli storici, l’autore del furto del tesoro della Dea Persefone fu Quinto Pleminio. Vi sono prove sufficienti in Livio, che tuttavia tace, ma narra tutti gli eventi, che a perpetrare il furto alla Dea fu Scipione l’Africano, con la complicità, diretta o indiretta, dei fuoriusciti locresi, in seguito alla votazione della Dàmos che autorizzò Annibale a entrare nelle mura di Locri.
Oggi tutti questi usi di piangere e commemorare i morti sono ritornati. Incidentalmente, l’uso di offrire pane ai funerali, soprattutto dopo il rito del trentesimo giorno, permane nella Locride. Esso deriva direttamente, però, dal culto di Persefone, la Dea del grano, e la sua offerta sta a indicare (anche se chi lo offre non lo sa) la vita eterna, come eterno è il ciclo del grano, dono della Dea e di Trittolemo.
Se si legge Omero, nella Locride non è cambiato molto, se oggi certo non si sacrificano nella Locride buoi, ma ci si batte il petto, ci si graffia il volto, ci si veste di nero (il nero della notte) e non solo a San Luca.
Del divieto di Zaleuco è rimasto solo U cunsulu. Ossia, l’uso di qualche amico di inviare la cena succulenta per la sera che segue subito dopo il funerale, per consolare (cunsulu)i parenti della perdita di un caro. Niente che abbia come base la legislazione locrese, ma solo un ricordo distorto, seppure affettuoso.
Indirettamente, ma con qualche inesattezza, ne accenna Girolomo Marafioti nella sua opera, dopo aver precisato che dopo la sepoltura era uso fare conviti presso i Locresi, “il che s’osserva infino ad hoggi, non solamente in Locri, mà etiandio nella maggior parte delle città di Calabria, che se bene piangono mentre ch’il corpo morto è in casa senza sepoltura, nondimeno doppoch’è ridotto in Chiesa, e fatti gli uffitij funerali, secondo il costume ecclesiastico, è posto nella sepoltura, convengono gli amici, e consanguinei in casa con apparecchi da magnare, e tutti comunemente fanno il convito, quale volgarmente chiamasi il consolo del morto.”