Falcone Lucifero: il consigliere calabrese dell’ultimo re d’Italia
Di Davide Codespoti
In Italia, i sovrani della dinastia sabauda avevano consiglieri fidati, come i Ministri della Real Casa, che li assistevano nelle decisioni politiche e amministrative. Luigi Guglielmo Cambrai Digny fu consigliere di Vittorio Emanuele II, mentre Urbano Rattazzi iuniore servì Umberto I. Vittorio Emanuele III contò sul duca Pietro d’Acquarone, che giocò un ruolo chiave nella caduta del regime fascista nel 1943, consigliando il re ad arrestare Mussolini. Dopo la fuga da Roma nel 1944, Vittorio Emanuele III cedette le sue funzioni al figlio Umberto su suggerimento di d’Acquarone e di Enrico De Nicola.
Uno dei primi atti del Luogotenente Umberto fu la sostituzione di Acquarone al Ministero della Real Casa con un altro suo consigliere di fiducia: Falcone Lucifero dei marchesi d’Aprigliano. Nato a Crotone il 3 gennaio 1898 da nobile famiglia (suo padre Armando fu un insigne intellettuale: poeta, storico, scrittore, numismatico, archeologo e naturalista), partecipò come ufficiale al primo conflitto mondiale, alla fine del quale prese la laurea in giurisprudenza a Torno. Nel 1920 venne eletto consigliere comunale a Crotone; dopo un’iniziale militanza socialista, Lucifero aderì al Partito Nazionale Fascista, sebbene dopo la Marcia su Roma e l’avvento del fascismo al potere si ritirò a vita privata, svolgendo la professione di avvocato.
Caduto il fascismo e nominato il nuovo governo Badoglio, Lucifero fu scelto come prefetto di Catanzaro e poi di Bari, nell’ottica dello smantellamento dello Stato fascista; dall’11 febbraio al 22 aprile 1944 ricoprì inoltre la carica di Ministro dell’Agricoltura, alla quale sarebbe subentrato un altro calabrese, il comunista Fausto Gullo.
Quindi, il 4 giugno 1944, dopo la liberazione di Roma da parte degli Alleati e la nomina di Umberto a Luogotenente del Regno, il nobile calabrese venne nominato Ministro della Real Casa: nel periodo della Luogotenenza (circa due anni) e nel corso dei circa 33 giorni di regno di Umberto II, succeduto al padre nel 1946, in vista del referendum istituzionale tra Monarchia e Repubblica, Lucifero fu il principale interlocutore del governo e delle forze antifasciste, organizzando inoltre la campagna referendaria in favore della monarchia in vista del referendum, che si tenne il 2 giugno 1946.
Il risultato fu chiaro ma non netto: sebbene la Repubblica avesse vinto con 2.000.000 di voti in più, la Corte di Cassazione non ne proclamò ufficialmente la nascita, limitandosi a enumerare i risultati e rinviando la proclamazione a dopo l’esame dei ricorsi presentati per eventuali brogli. Si crearono subito tensioni e incidenti tra monarchici e repubblicani: a Napoli scoppiarono tafferugli tra le due fazioni con morti e feriti, mentre al Nord un esercito di partigiani era pronto a riprendere le armi se i Savoia fossero rimasti.
Falcone Lucifero gestì in prima persona la delicata fase di transizione che andò dal 2 al 13 giugno 1946, adottando una linea ferma ma scevra da qualsiasi tentazione oltranzista. Solo quando, la notte del 13 giugno, il Consiglio dei Ministri si riunì per decidere il da farsi e decretò l’attribuzione dei poteri di capo provvisorio dello Stato al Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi (sebbene, tecnicamente e legalmente, il capo dello Stato fosse ancora Umberto II), il Ministro della Real Casa stese l’ultimo proclama del sovrano sabaudo, con il quale non riconosceva il risultato referendario e condannava il gesto rivoluzionario del governo, che aveva assunto poteri che non gli spettavano.
Il sovrano, però, non volendo scatenare una guerra civile e regnare su un Paese diviso, scelse la via dell’esilio: quindi sciolse l’esercito e i Carabinieri dal giuramento di fedeltà alla Corona e partì in aereo per il Portogallo, stabilendosi a Cascais. Dopo l’esilio dell’ex-re, Lucifero rimase l’unico rappresentante ufficiale di Umberto II in Italia, partecipando a eventi pubblici importanti come funerali e intronizzazioni papali. Si occupò anche di attività benefiche e di mantenere i contatti politici italiani per conto del sovrano in esilio.
Convinto monarchico, nel 1948 rifiutò la nomina a senatore a vita concessagli dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, mentre, il 4 settembre 1969, in occasione dei suoi 65 anni, Umberto II lo nominò Cavaliere dell’Annunziata: fu uno dei due casi (l’altro riguardò Vittorio Cini nel 1975) in cui questa onorificenza venne assegnata, dal 1944 al 1982, a personaggi che non erano membri di famiglie reali o fossero capi di Stato.
Fu un prolifico scrittore (pubblicò saggi, biografie, opere letterarie e teatrali), collaborò con quotidiani e periodici e, fino alla fine, sostenne convintamente la tesi monarchica e costituzionale: infatti, in due celebri interviste televisive (nel 1990 su Rai 2 con Giovanni Minoli e nel 1996 su Rai 1 con Bruno Vespa) ribadì che il referendum istituzionale fosse nullo e invalido.
Morì a Roma il 3 maggio 1997, all’età di 99 anni. Per sue disposizioni, venne sepolto nel cimitero monumentale di Crotone, alla cui biblioteca comunale (intitolata al padre Armando), aveva lasciato l’anno precedente un fondo librario di 2.000 volumi. I suoi diari, che vanno dal 1944 al 1946, sono stati pubblicati nel 2002 dalla Mondadori con il titolo L’ultimo re.