Costume e SocietàLetteratura

Le scarpe di Salvatore e il Vascello del Dubbio

Storie d’altri tempi

Di Francesco Cesare Strangio

Salvatore, tutte le volte che vedeva Antonietta nel negozio, andava a casa, faceva la doccia e si presentava al locale con l’intento di cercare un paio di scarpe che gli garbassero. La ragazza aveva una capacità innata nel convincere i clienti ad acquistare. Nel caso di Salvatore non doveva sforzarsi per niente. Antonietta aveva il sospetto che il ventenne avesse un debole per lei e ciò le dava un notevole vantaggio nella negoziazione. Col procedere del tempo Salvatore si rese conto di avere comprato scarpe oltre le sue reali esigenze; alla fine si capì che le ambizioni di Antonietta erano ben altre.
Salvatore, durante il percorso della sua vita si era trovato sempre vicino l’amico Marco, con il quale si confidava come se fosse il fratello maggiore. Dopo che Salvatore aveva perso il padre, i due erano diventati indivisibili. Un tale rapporto di vera amicizia lo portò a prendere in considerazione l’ipotesi di rivelare a Marco quanto aveva visto al cascinale della cugina.
Si era fatto tardi e dovevano rientrare per la cena. I due inforcarono le rispettive biciclette e si avviarono verso casa.
Nei pressi della dimora di Marco, Salvatore chiese: «Come se la passano i tuoi?»
«Perché non entri a salutarli? Così ti bevi un bicchiere di vino e poi te ne vai!»
Salvatore non si fece pregare, scese dalla bicicletta ed entrò nella casa dei Fera.
«Oh… guarda un pò chi c’èSalvatore, come stai?».Disse il nonno.
«Bene! Grazie!» rispose il giovane.«Tua madre come sta?»«Che cosa volete che dica? È martoriata dagli acciacchi.»
La mamma di Marco aspettò che finisse di parlare il suocero e poi prese a dire: «Dopo la morte di tuo padre, la sua salute ha iniziato un lento e inesorabile declino. Portagli i saluti da parte nostra e digli di scusarmi, quando avrò un minuto di tempo passo a salutarla.
Quanto tempo è passato. Ricordo quando eravamo bambine che giocavamo con le bambole di pezza che le nostre mamme ci avevano cucito. Bisticciavamo per quale delle due fosse la più bella…
»
Il nonno Marco, rivolgendosi al figlio, disse: «Per cortesia, offri a Salvatore un bicchierino di passito.»
Antonio prese la candela e scese giù in cantina; poco dopo fece ritorno con una bottiglia di passito colore dell’oro. La madre di Marco prelevò dalla cristalliera un bicchierino.
Nel vedere la nuora portare un solo bicchierino, Marco Fera il vecchio disse: «Mentre lo stimato ospite beve, noi guardiamo? Un tale comportamento equivarrebbe a fare torto all’ospite!»
«Chiedo umilmente perdono!» Rispose la nuora al suocero.
Prese quattro bicchierini e li riempì fino all’orlo. Il profumo si diffuse nella stanza.
Dopo il tintinnio dei piccoli contenitori di vetro, il nonno mandò giù il contenuto. Il capostipite non era più quello di una volta, con la vecchiaia era diventato permaloso e puntiglioso.
Quali sono le motivazioni che portano gli uomini a essere permalosi, cavillosi e irrequieti? La venuta meno della forza fisica, oppure l’angosciante pensiero della fine? In ogni qual modo lo scemare delle forze è un campanello d’allarme che sta a indicare la fine dell’ultimo atto della propria commedia.
I preti parlano di una vita oltre la morte. Il nonno era convinto che la chiesa, più che parlare della vita oltre la morte, avesse il dovere morale di chiedere perdono per i crimini della santa inquisizione, di quelli dei conquistadores e della mistificazione della verità cui essa è artefice attraverso le false promesse della resurrezione. Quali certezze hanno mai avuto e hanno nel sostenere che vi è la vita oltre la morte? L’unica certezza vera è il dubbio su cui si specula spudoratamente.Il vecchio, da giovane, aveva frequentato il seminario per volontà del padre, convinto che, se il figlio fosse diventato prete, sarebbe stato messo al sicuro dalle avversità della vita.All’ultimo anno di seminario, dei seri interrogativi iniziarono ad agitarsi nel firmamento del pensiero del giovane seminarista. Da qualche tempo qualcosa in lui incominciò, durante la notte, ad affiorare come tanti folletti intenti a turbargli il sonno.
Cresceva in lui il dubbio, e con ciò prendeva piede la consapevolezza che la manipolazione del pensiero immancabilmente portava a perdere i canoni fondanti della razionalità, generando un nuovo percorso la cui meta era l’ignoto. Vedeva i giovani seminaristi intenti a sviluppare una serie di supposizioni, con lo scopo di legittimare concetti astratti, alla cui base vi era il nulla e pertanto portava sempre al nulla. I loro affannosi pensieri erano mirati a forzare il principio della logica della premessa con il paradossale scopo di rendere certo ciò che è incerto, incuranti dei due principi che stanno alla base della ragione: principio di causalità e principio di non contraddizione.
In coincidenza della prima notte di primavera, il sonno l’abbandonò, il vento degli interrogativi aveva iniziato a soffiare con forza, portando il vascello dei pensieri a naufragare sugli scogli del dubbio: “Cosa potrà volere il creatore dagli uomini che lui non ha? Forse cerca l’amore? Se è noto che lui è il supremo detentore dell’infinito amore? È forse annoiato dalla sua eterna solitudine e si mette a giocare con noi come il gatto con il topo? Oppure è la nostra coscienza che si autostimola pensando astrattezze con l’intento di sfuggire alla forza attrattiva del vortice della follia?

Foto da PxHere

Redazione

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